Dodici La Serie – Episodio 9
4 luglio 2018,
Haarrijnseplas, Utrecht, Utrecht
Notò che lo strano tipo seduto al bancone del bar si era voltato a guardarli, forse per la terza volta da quando erano entrati. Non riusciva a vederlo bene in viso, era nascosto dal cappuccio della felpa che indossava e da un paio di occhiali scuri. Decise di non badarci più di tanto.
– Funziona così, ci mettiamo tutti seduti in cerchio. – Kees bevve un sorso di birra, col dito fece segno che c’era dell’altro. Appoggiò il bicchiere sul tavolo. Il tintinnio andò a mescolarsi coi rumori di sottofondo del locale, immergendosi tra vociare e musica. – E noi non usiamo l’espressione “tanti auguri”. Preferiamo fare le congratulazioni, diciamo proprio così: “Congratulazioni per il tuo compleanno!”. Se poi, quel giorno, incontri i parenti del festeggiato, devi fare le congratulazioni anche a loro, genitori, fratelli, zii e cugini.
– Quando ho compiuto diciotto anni, ho dovuto fare le congratulazioni a mia zia Johanna, perché non mi aveva riconosciuta e mi aveva presa per una mia compagna di scuola. È stato divertente – disse Femke, ridendo. – Ah! Un’altra cosa importante. Il compleanno va sempre celebrato!
– Anche perché se cerchi di farlo passare in sordina, gli altri lo ricorderanno a tutti. – aggiunse Kees, con un tono deciso. – Mia madre ha un intero calendario dedicato ai compleanni di ogni persona che abbia mai incontrato. Pensa che c’è persino il tuo, e ti ha solo vista quella mezza volta al centro commerciale.
Angel McMahon aveva i gomiti appoggiati al tavolo e il collo leggermente piegato. Lanciò un’altra occhiata veloce a quel tipo del bar, beccandolo ancora a guardarli. Per un attimo i loro sguardi si erano incrociati, ma lui aveva girato la testa di scatto di fronte a sé. Ebbe come l’impressione di conoscerlo. Decise di ignorarlo, e continuò a parlare coi suoi amici. – Proprio perché per voi è tanto importante, mi sono lasciata trascinare qui. Come vi avevo già detto, oggi avrei preferito stare a casa a leggere un libro. Da sola.
– Potrai leggere da sola a casa ogni volta che vorrai, ma non oggi. Compi ventisette anni una sola volta, schatje. E festeggiare i compleanni fa parte della nostra cultura – sentenziò Femke, brandendo una patatina fritta. – E poi guarda che bel posticino abbiamo scelto per te!
– Sì, è bello sul serio – ammise lei, con uno sguardo alla vetrata che dava sulla distesa d’acqua colorata dal cielo del tardo pomeriggio estivo. Il rosa s’immergeva sulla superficie del lago, l’ultimo sole del giorno stava per sparire all’orizzonte.
– Sono davvero felice che ti piaccia. Ed ecco… abbiamo una sorpresa per te – rivelò Femke, emozionata.
Lei la guardò confusa, poi passò a Kees. – Di che si tratta?
Lui si voltò verso il bar e fece un cenno a quel tizio un po’ sospetto che Angel aveva già notato. Era giovane, si alzò e si avvicinò al loro tavolo. Le bastò vederlo camminare per riconoscerlo. Arrivò da loro con un gran sorriso stampato in faccia.
– Buon compleanno, Yankee.
– Che ci fai qui? – chiese lei, dura. Gli altri due si strinsero per fargli posto, e lui si sedette di fronte ad Angel.
– Ciao, ragazzi, e grazie per la soffiata. L’ho apprezzato davvero – fece lui, togliendosi gli occhiali da sole ma lasciandosi il cappuccio sulla testa.
– Lo so che ormai dovrei essere abituata al fatto che conosco Edge Baker di persona, ma ogni volta che sei così vicino ho un istinto primordiale che mi implora di chiederti un autografo – disse Femke, e lui scoppiò a ridere.
– Sarò felice di firmartene uno, se vuoi.
– Non credo che ne avrai la possibilità, Angel ci ammazzerà di qui a pochi minuti – concluse Kees, sperando di rompere il ghiaccio con una battuta, ma il volto di Angel era rimasto impassibile.
– Edge, perché sei qui?
Lui alzò le spalle. – Non mi piaceva il modo in cui ci siamo salutati l’ultima volta.
– Cece sa dove ti trovi?
– Uhm… – mormorò lui, grattandosi il mento sbarbato da poco. – … ecco, non proprio.
– Adesso vi lasciamo un po’ di privacy… – disse Femke, facendo per alzarsi, ma Angel la fermò.
– No, è meglio se usciamo noi due.
– Sei arrabbiata, vero? – fece Kees, voltandosi poi verso l’altra ragazza. – Secondo te è arrabbiata?
– Sì, sono molto arrabbiata – confermò lei, mentre si sollevava dalla panca. – Ma ne parleremo più tardi.
Edge la seguì fuori dal locale. Le luci della Beach House illuminavano la sabbia e allungavano le loro ombre. La serata era fresca e il cielo limpido. La distesa di stelle era già comparsa sulle loro teste. Di fronte a loro, il lago dalle acque lisce e silenziose. Era una spiaggia molto tranquilla, quella. Non c’era quasi nessuno lì fuori, erano tutti dentro a bere e divertirsi. Angel ed Edge erano soli, a parte un gruppetto di ragazzi che chiacchierava seduti al centro di un suggestivo cerchio di fiaccole accese. Gli occhi di lui smisero di guardarsi attorno e si fermarono su di lei. Aveva le braccia incrociate e fissava con ostinazione a terra.
– Avrei dovuto dirti che venivo.
– Trovi? – sbottò lei, sarcastica.
– Mi dispiace, va bene? È che… volevo vederti – ammise con semplicità.
La ragazza sbuffò, alzando finalmente lo sguardo in quello di lui. – Questo non va per niente bene. Tu hai una ragazza. Perché devo essere sempre io a ricordartelo?
– Cece imparerà a conoscerti, vedrai che capirà che…
– Cosa? Che hai una relazione decisamente troppo ingombrante con la tua ex?
– Non mi va di pensare a te come alla mia ex, fa così “comedy anni Novanta”.
Angel alzò gli occhi al cielo, esasperata. – Perché scherzi su questo argomento?
– Perché so che aver preso un aereo per venire da te di nascosto non mi rende proprio una persona splendida agli occhi del karma, ma ormai ci sono. Tanto vale divertirsi un po’.
Angel, suo malgrado, gli sorrise, ed Edge l’abbracciò.
– Tu sei felice di vedermi?
– Certo che sono felice di vederti, idiota – disse lei, sistemandogli il cappuccio della felpa.
– Non sono in tiro per il tuo compleanno, scusami. Ho portato solo questa felpa e due paia di jeans. Non credo neppure di aver messo in valigia un pigiama.
– Quando sei arrivato?
– Oggi, nel primo pomeriggio. Ho preso il primo aereo disponibile, un volo notturno che partiva alle tre. E domani riparto alle undici. Scommetto che Cece non si accorgerà nemmeno che sono via.
Il rapporto che Angel aveva costruito con Edge, nel corso di quegli anni, era difficile da definire. Sebbene lui avesse sempre provato dei sentimenti forti per lei, e non glielo avesse mai nascosto, i due non avevano mai avuto una relazione romantica. Stava bene con lui, ma non lo ricambiava. Ne avevano parlato senza maschere, e lo aveva sempre incoraggiato ad allontanarsi da lei. Ed Edge aveva avuto delle ragazze, in quel periodo.
La prima si chiamava Trisha. Erano stati insieme per qualche mese nel 2016, e con lei era finita quando le aveva detto che avrebbe passato con Angel i tre mesi estivi. Inutile dire che lei lo aveva mollato su due piedi. Angel aveva saputo di quella storia mentre erano ad Amsterdam, il giorno prima che lui ritornasse negli Stati Uniti.
– Lo sai, ho trovato una ragazza – aveva detto lui, di fronte a una birra. Erano in un coffeeshop di Reguliersdwarsstraat, proprio dietro il Mercato Dei Fiori. Aveva una sigaretta di erba stretta tra le dita, ancora spenta. Dalla finestra del locale vedevano delle bandierine colorate. Andavano spesso in quel posto, quando erano in città. – E mi ha anche lasciato.
Lei lo aveva guardato, imbronciata. – Perché non me l’hai detto prima?
– Perché non aveva importanza.
– Ti ha lasciato perché sei venuto qui, vero?
– Mi ha lasciato perché non riusciva a capire che tu sei, e sarai sempre, la mia più assoluta priorità.
– Neanche io capirei, se fossi la tua ragazza.
– Non ti vedevo da quando siamo andati a Roma, e non volevo più aspettare. – Il suo tono era stato deciso, non ammetteva repliche.
– Sei rimasto qui per tre mesi, e non mi hai detto che la tua ragazza ti ha lasciato per colpa mia.
– Tre mesi, caspita. Come vola il tempo, quando ci si diverte! – Accese la sua sigaretta, ed Angel storse il naso.
– Odio quando fumi questa roba.
Lui aveva fatto una smorfia per prenderla in giro, poi aveva aspirato una boccata dalla sigaretta, soffiando il fumo fuori dalla finestra. Quella fu una delle prime volte in cui Angel pensò che avrebbe davvero voluto amarlo. Sarebbe stato più facile per tutti e due.
Le storie successive di Edge erano naufragate tutte per lo stesso motivo. Arrivavano a un punto in cui nessuna riusciva a sopportare la presenza di Angel nella vita di Edge. Poi, l’anno precedente, era arrivata Cece. Angel a quel punto gli aveva imposto di non andare più a trovarla, né scriverle così spesso. E una settimana più tardi, se lo era ritrovato di fronte, fuori casa. Era sul vialetto, e aveva in mano un cd dei Pink Floyd. Era il 30 dicembre, e pioveva a dirotto.
– Sul serio, Yankee. Dovresti ascoltare dei veri chitarristi, prima o poi. Mettilo tra i buoni propositi per l’anno nuovo.
Gli era saltata al collo, d’istinto, ritrovandosi tra le sue braccia. Ancora aggrappata a lui, però, aveva realizzato quanto tutto fosse sbagliato. Sapeva che avrebbe dovuto fingere indifferenza, ferirlo, mandarlo via. Non lo aveva fatto. Avevano trascorso insieme il Capodanno, fatto il bagno nel Mare del Nord sulla spiaggia di Scheveningen, a L’Aja. Lui era andato via quattro giorni più tardi, e aveva litigato furiosamente con Cece. Lei lo aveva lasciato. Angel allora l’aveva chiamata, per rassicurarla le aveva detto che tra loro non c’era stato niente, e che poteva fidarsi di Edge. Ma lei aveva risposto con il tono più amareggiato che avesse mai sentito. Sei tu il problema.
Era stato quello il momento in cui aveva detto ad Edge che dovevano chiudere e non potevano più aspettare. E per qualche mese, era stato così. Non aveva risposto alle sue telefonate. Alle sue mail. E adesso gli stava di fronte, e odiava sé stessa per quanto fosse contenta di rivederlo.
– Edge, sono più di venti ore di viaggio.
– Ne avrei fatte anche cinquanta, per venire da te.
Lo guardò, sorrideva, alzando le spalle.
– Avevo bisogno di vederti, anche solo per una sera.
Gli accarezzò il viso, osservandolo con tenerezza. – Perché devi rendere le cose così complicate?
– Sono un artista, fa parte della mia natura.
– A questo proposito, più tardi fai quell’autografo a Femke, per favore. Non te lo direbbe mai apertamente, ma ha tutti i vostri cd, ne conosce i brani a memoria, e sul suo letto ha un tuo poster piuttosto grande. È inquietante. Sai che ha imparato a suonare il basso proprio per te? Sei il suo idolo.
– Glielo firmerò senz’altro. Sono bravi ragazzi, Kees e Femke. Mi fa piacere che tu abbia trovato due amici come loro.
– Dici che sono bravi ragazzi solo perché ti hanno aiutato a tramare alle mie spalle – fece lei, con una smorfietta. Edge sorrise, colpevole.
– Be’, sapevano che era la cosa giusta da fare.
Angel alzò le spalle, sospirando. – Lo era davvero? Edge, l’ultima volta Cece ha gridato al telefono così forte che sono riuscita a sentirla persino io, che ero in un’altra stanza. E a dirtela tutta, al posto suo penso che avrei fatto lo stesso.
– Lei non si sarebbe divertita affatto venendo qui, odia il freddo.
– Hai passato il Capodanno lontano da lei, senza dirle che partivi. Lo ha scoperto da una foto.
– Non potevo mica sapere che ci avrebbero paparazzato!
– Edge, mi tieni in braccio, e siamo in costume da bagno. La didascalia diceva “Chi sarà la nuova fiamma di Edge Baker?”. Te l’ho già spiegato, io non voglio essere quella persona.
– Quale persona?
– Quella che ti impedisce di essere felice con altre donne. Ed è la causa della tua infelicità.
– Le mie azioni dipendono solo da me. Sono io che ho deciso di venire da te allora, così come l’ho deciso adesso. Tu sei la cosa più importante della mia vita, non potresti mai essere la causa della mia infelicità.
Angel lo guardò di traverso. – Ecco, se fossi la tua ragazza e tu dicessi una cosa del genere su un’altra donna, penso che, più o meno, vorrei sgozzarti. E forse vorrei sgozzare anche lei.
Lui sbuffò. – Sai cosa intendo.
– Sì, lo so. E proprio per questo tu domani te ne andrai, e non mi chiamerai mai più. Intesi?
– Angel…
– Intesi? – ripeté lei, guardandolo dritto negli occhi. Lui annuì, alzando le mani.
– Okay, hai ragione.
– Hai un posto dove stare stanotte?
– Veramente no. Ho organizzato la partenza in un tempo record, troverò qualcosa più tardi.
– Sciocchezze, verrai da me.
– … mi preparerai i tuoi fantastici pancake? – chiese lui, speranzoso, e lei annuì.
Tornarono dentro ed Angel offrì un altro giro di bevute, i tre le raccontarono tutti i dettagli del piano segreto tramite il quale si erano accordati per portarla lì e farle incontrare Edge. La tensione si sciolse quasi subito. Dopo un paio d’ore si salutarono, Kees e Femke montarono sulle loro biciclette e partirono a tutta velocità verso Utrecht, mentre Angel guidò Edge verso la sua auto. Arrivarono a Volendam intorno alle undici, il paesino era deserto. Il parcheggio delle auto distava circa dieci minuti a piedi dalla casa della ragazza.
– Come sta andando al lavoro? – le chiese Edge, mentre camminavano fianco a fianco tra le case di mattoni rossi.
– Bene, sono tutti molto carini con me. Non credevo mi sarebbe piaciuto insegnare musica, ma si è rivelato divertente.
– Non hai pensato di cercarti una band come quella che avevi a New York?
– No, non credo faccia più per me – rispose lei. Edge si fermò.
– Cantare? Certo che fa ancora per te.
– Forse per la “vecchia me”.
– La tua terapista cosa ne pensa?
Angel non rispose subito, continuò a camminare. – Che stia portando avanti una lotta contro me stessa.
– Credo che abbia ragione.
Salì i gradini che conducevano alla sua porta, infilò la chiave nella toppa e aprì.
– E credo anche che dovresti tornare a casa.
– Sono a casa.
– No, non è vero.
Si voltò a guardarlo.
– Non guardarmi in quel modo, è la verità. Sono due anni che vivi qui, hai chiuso i rapporti con quasi tutte le persone che conoscevi. Non canti più, non vuoi ricominciare a vivere. Che senso ha?
– Edge, vuoi davvero litigare sull’uscio di casa mia nel bel mezzo della notte, mentre tutti dormono?
Angel entrò in casa, nervosa, lui la seguì, lasciando cadere il suo trolley da viaggio. – Non voglio affatto litigare.
– Allora cambia argomento, per favore – mormorò lei, abbassando lo sguardo. Edge fece un passo nella sua direzione.
– Ascolta. So che è difficile, e so che c’è voluto fegato a rimetterti in piedi da sola. Però… la tua famiglia, i tuoi amici, ti aspettano, ti aspetteranno sempre. Non devi infliggerti questa solitudine.
– Non posso tornare in America.
– Quando uscirò da questa casa domani, non tornerò più e non ti chiamerò più. Farò come vuoi. Ma saperti qui, da sola, mi spezzerà il cuore in ogni momento. Lo so che le cose tra noi sono strane, però… Angel, io non posso…
– Adesso dovresti andare a farti una doccia, e riposare. Dovrebbe esserci un tuo pigiama di sopra, te lo lascerò in bagno.
Edge le prese un braccio, mentre lei si allontanava. Si accorse che piangeva. – Non devi punirti. Non è stata colpa tua.
– Buonanotte, Edge. – Si liberò dalla sua presa, e andò di sopra. Edge si passò una mano tra i capelli, lasciandosi cadere sul divano. Ricordò il primo giorno in cui l’aveva accompagnata in quella casa. Il vecchio sofà marrone che lei voleva cambiare. Si sentì intorpidito e stanco.
Si alzò dopo un tempo che non avrebbe saputo definire e salì al piano superiore. Vide che la porta di Angel era chiusa. Entrò nel bagno e si svestì per fare una doccia veloce. Notò un pigiama perfettamente piegato, adagiato sull’armadietto vicino al lavandino.
L’acqua bollente gli ridiede energia, il bagnoschiuma aveva un odore buonissimo. Il suo profumo. Indossò il pigiama e decise che l’avrebbe costretta a discutere con lui, ad ogni costo. Bussò alla sua porta. – Non vado a dormire se prima non parliamo. E so che sei sveglia anche tu.
Dopo un po’, si aprì un piccolo spiraglio. Vide che lei aveva gli occhi gonfi e arrossati, e lui spalancò la porta e l’abbracciò. – Non voglio che il resto della tua vita trascorra in questo modo. Tutto quello che faccio, ogni giorno, è pensare a te qui, che soffri… – Le prese il viso e lo avvicinò al suo. – Non puoi continuare a vivere per sempre a metà. Fallo per me, ti prego.
Edge accarezzò con le labbra quelle di lei, e la baciò piano. Angel non ricambiò e non si ritrasse, restò ferma. Si allontanò da lui con lentezza dopo qualche secondo, con lo sguardo basso.
– Scusami, Edge…
Lui annuì, con un sorriso triste e comprensivo allo stesso tempo. – Sono io che dovrei scusarmi con te.
– Se le cose fossero diverse… se…
– Non mi devi nessuna spiegazione, Yankee.
– Sarai felice con Cece, se dai una vera possibilità alla vostra relazione. Puoi provarci?
– Sì, posso provarci. – Edge la guardò con dolcezza, chiedendosi perché mai dovesse essere così dannatamente bella anche in un momento come quello. Lei gli sorrise, mentre le lacrime ricominciavano a scivolare sul suo viso, e lui le baciò la fronte. – Però una parte di me ti amerà sempre, lo sai?
Lei annuì, accarezzandogli il viso. – Lo so.
Il sole illuminò una mattinata grigia. Avrebbe di certo piovuto di lì a poco. Edge sentì odore di pancake provenire dalla cucina, mentre scendeva le scale. Lei sedeva davanti a una tazza di tè, il piatto di frittelle calde destinato a lui di fronte a una sedia vuota.
– Hey – salutò, sedendo davanti alla sua colazione. – Sei riuscita a dormire un po’?
– A che ora arriverà il tuo taxi? – fece, sorseggiando dalla tazza fumante, fingendo di non aver sentito la domanda.
– Sarà qui tra venti minuti. – Dopo aver mangiato, l’aiutò a lavare i piatti. Non dissero quasi nulla. Il tempo trascorse lentissimo, in quel silenzio. Ogni parola poteva scatenare una lite o un pianto, quindi decisero di godersi i minuti che restavano in pace, nella reciproca compagnia.
– Devo andare.
La ragazza annuì, seguendolo fino alla porta.
– Fai buon viaggio, okay?
Lui guardò la soglia, poi lei. – Di solito, quando andavo via, mi dicevi “chiamami quando arrivi a casa”.
– Non posso più dirtelo, se dobbiamo allontanarci.
– L’idea che questa sia l’ultima volta che ti vedo mi fa diventare matto.
– Noi ci rivedremo. Te lo prometto.
Lui la guardò negli occhi, prima di voltarsi. – Allora mi fido. Ciao, Yankee.
Avrebbe voluto dirle che l’amava, ma questo lei lo sapeva già. E in fondo anche lei lo amava, forse non nello stesso modo, ma era proprio quello il motivo per cui adesso si mostrava così decisa a mettere distanza tra loro. Angel voleva che vivesse la sua vita, che andasse avanti. Lei non poteva dargli quello che voleva. Il suo cuore apparteneva a un altro, sarebbe sempre appartenuto a lui, e questo non sarebbe cambiato. Si allontanò dal numero 10 di Noordeinde, il taxi lo aspettava in fondo alla strada. Partì, e si avviò all’aeroporto di Amsterdam. Lanciò un’occhiata al suo cellulare, c’erano quindici chiamate perse. Decise di ignorarle. Appoggiò la testa al cuscinetto del sedile posteriore e si addormentò.
Episodio Nove
Editing: Gloria Macaluso
“Dodici” è la serie spin-off legata al romanzo Dodici Giorni.
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