Dodici La Serie – Episodio 8

24 giugno 2017,

Starbright Beach, Los Angeles, California

 

– Molto bene, signor Johnson. Sono felice di comunicarle che, a partire dal prossimo anno accademico, lei sarà il nostro nuovo professore di Letteratura inglese e americana. Benvenuto a bordo o, per meglio dire, bentornato. – Il preside Carter si alzò dalla sua poltrona per stringere la mano a Ray, con un gran sorriso. – Dopotutto, non è passato tanto tempo da quando è stato eletto miglior studente del suo anno, proprio tra queste mura!

– No, ha ragione – rispose lui, ricambiando con vigore la stretta di mano. – Non vedo l’ora di cominciare.

Non era vero. Ma riuscì a mascherare l’indifferenza che provava con la sua espressione più convincente e affascinante. Si congedò dall’anziano e si allontanò dal suo ufficio. Oltrepassò i corridoi senza guardarsi intorno, ignorando volutamente la bacheca nella quale erano ancora esposti con orgoglio i numeri del Douglass Press che aveva curato personalmente durante i suoi quattro anni di militanza nella redazione del giornalino scolastico. Non voleva rivederli.

Uscì dalla scuola e si diresse alla sua auto, allontanandosi velocemente dal luogo che nei prossimi anni avrebbe frequentato quasi ogni giorno.

Avrebbe insegnato al suo vecchio liceo, ritornando a Starbright Beach dopo otto anni. Per i primi tempi avrebbe vissuto a casa dei suoi genitori, nella sua vecchia stanza, e poi si sarebbe cercato un posto tutto suo. Finalmente, si sarebbe davvero liberato dell’appartamento, la sua missione poteva dirsi compiuta. L’euforia all’idea di abbandonare per sempre quelle mura maledette durò forse uno o due secondi appena, e lasciò spazio alla sua ormai consueta e consolidata freddezza.

Intravide il locale di Santino e gli venne voglia di fermarsi a prendere un caffè, non lo faceva da un po’. Prima di aprire la porta, il suo cellulare squillò. Lo tirò fuori dalla tasca, mentre una ragazza bionda con una giacca di un rosso scintillante lo superava, entrando dentro. Controllò lo schermo, era Sean. – Posso chiamarti professore, allora? Com’è andato il colloquio finale? Sono già sicuro della risposta, ma fingerò di chiedertelo lo stesso.

– Il preside Carter mi ha assunto, insegnerò a Starbright Beach.

Continuo a non capire per quale motivo tu abbia deciso di lasciare New York per ritornare a Starbright Beach, ma se sei contento tu…

Contento. Quello era un sentimento che non aveva più provato. – In fondo, sono solo un ragazzo di provincia, lo sai.

Stasera festeggiamo, che ne pensi? Voglio presentarti una mia amica adorabile, potrebbe davvero piacerti. È una tua grande fan!

Grande, pensò, senza il minimo entusiasmo. Un’altra amica di Sean con la quale forse sarebbe andato a letto e che poi avrebbe finito per odiarlo, come lui odiava sé stesso dopo ogni maledetta volta in cui il suo stupido cervello non riusciva a concentrarsi neppure per cinque minuti sulla persona che gli stava di fronte. – D’accordo.

Ci vediamo alle nove al Beep Hop?

Confermò, e si salutarono. Mancavano cinque ore all’inizio della serata ed era già stufo all’idea della sessione di flirt scadente in cui si sarebbe trovato immischiato, un po’ per mancanza di voglia di dire di no e un po’ perché, in fondo, non aveva davvero di meglio da fare. Sbuffò. Fece un passo in avanti e le porte automatiche della caffetteria si aprirono, lasciandolo entrare. Si avviò al bancone, dove un ragazzo annoiato gli chiese cosa voleva ordinare. – Un caffè, nero. Grazie.

– Con due zollette di zucchero a parte – aggiunse una voce alle sue spalle. Ray si voltò di scatto, trovandosi di fronte Evis Bishop, che lo affiancò nel giro di pochi istanti. – E un cappuccino di soia, per favore.

– Faccio un solo conto? – chiese il ragazzo alla cassa; lei annuì e lanciò un’occhiata veloce a Ray.

– Offro io – fece, decisa. – Ciao, Ray. Che bello vederti!

Era la donna che lo aveva superato prima della telefonata di Sean, non l’aveva riconosciuta. Portava i capelli biondi corti fino alle spalle. S’indicò la giacca rossa, ridendo. – Se ti stai chiedendo come mai sia vestita da Kool-Aid, è perché adesso faccio l’agente immobiliare e ho appena mostrato una casa bellissima a due clienti molto interessati.

– Mi fa piacere, e grazie per il caffè.

– Ti va di berlo con me? – chiese, mentre il commesso porgeva loro le due bevande. – Così facciamo due chiacchiere.

– A dire la verità, non saprei…

– Dai, non ti becco mai in città! Avrei proprio bisogno di parlarti di alcune cose.

Si guardò intorno, e piegò la testa. – Non sono una grande compagnia.

– Allora ci penserò io a ravvivare la conversazione, la parlantina non mi è mai mancata. Dopotutto, è così che mi sono procurata un periodo di carcere – fece, ridendo. Ray la guardò stranito. – Scusa, ormai ci scherzo parecchio. È il mio modo di esorcizzare quello che ho fatto. Va bene quel posto? Mi sembra il più riservato.

Annuì, seguendola verso un tavolino lontano dagli altri, nascosto da una colonna. Il cielo all’esterno era nuvoloso, ma dalla vetrata che dava sulla spiaggia vide che c’erano dei ragazzi che si baciavano sulla riva. Avrebbe voluto odiarli, o invidiarli. E invece ancora una volta non sentì niente. Gettò le zollette di zucchero nel bicchiere e diede una mescolata veloce, prima di bere il primo sorso.

– Come stai?

Simulò un sorriso, senza troppa convinzione. – Bene, e tu?

– Come stai sul serio?

– Cosa intendi?

– Intendo che vorrei fossi sincero. E se ti senti uno schifo, dimmi che ti senti uno schifo.

– L’hai dedotto dal fatto che la mia barba non è mai stata così folta?

– Da quello e dal fatto che mi hai sorriso per finta.

Lui alzò le spalle, scuotendo la testa. – Okay, hai ragione. Sto uno schifo.

– Del tipo?

– Del tipo che passo le mie giornate a non provare assolutamente nessuna emozione da circa due anni e ogni tanto cerco di stordirmi con l’alcol, ma non serve a niente. – parlò di getto, senza prendere fiato, e le parole si susseguirono quasi legandosi l’una all’altra, come se un fiume avesse rotto l’argine. Ma il suo discorso non aveva il tono liberatorio di uno sfogo, piuttosto, era rassegnato, spento. Senza speranza. – La mattina dopo mi sveglio con la testa che mi fa male e lo stomaco peggio ancora. Sento sempre e solo una voragine nel petto e non so come affrontarla. Pensa che sto fumando una media di trenta sigarette al giorno, e tutto ciò che riesco a fare è aspettare la morte, sperando arrivi prima possibile – si fermò, guardandola quasi con aria di sfida. – Credo sia tutto. Te l’ho detto, non è piacevole starmi a sentire.

– Se te l’ho chiesto è perché volevo una risposta vera. Grazie per esserti aperto con me, lo apprezzo molto. – Evis gli prese la mano, lui la osservò per qualche istante, e lei la ritrasse arrossendo. – Ho letto il tuo ultimo libro, era fantastico. Forse il più bello della saga!

– Non sei mai stata un’amante della lettura – commentò lui, bevendo ancora un sorso di caffè.

– Questo era vero prima. Sono cambiata sotto molti punti di vista. Per esempio, ora amo leggere. Soprattutto i tuoi libri! Ho iniziato per curiosità e poi mi sono appassionata sul serio. Non vedo l’ora di andare a vedere il primo film, scommetto che sarà un successone.

– Be’, in realtà io non ho troppa voce in capitolo per quanto riguarda il film, gli attori che interpreteranno i personaggi non sono per niente come li avevo immaginati. Ma non credo sia un gran problema – disse lui, continuando a guardare fuori. La coppia era andata via, la spiaggia era deserta. Aveva iniziato a piovere.

– Perché sembra che la cosa non ti tocchi affatto?

Il tono di Evis lo sorprese. Era confidenziale, ma non eccessivo. Piegò il collo e spostò lo sguardo su di lei. I suoi tratti erano cambiati, rispetto all’ultima volta in cui l’aveva vista? Sembravano ingentiliti. Il biondo dei suoi capelli era più dorato, e meno scolorito. Decise che avrebbe usato lo stesso tono con lei. – A dirtela tutta, non potrebbe fregarmene di meno. Del film, di chi interpreta i personaggi, neppure dei libri, ormai mi sembrano solo un mucchio di stronzate.

Non riuscì a decifrare l’espressione che apparve sul viso di lei. Evis strinse gli occhi, e si piegò in avanti, avvicinandosi di più. –E invece, dimmi… come va col dottorato? Dovresti finire a breve, se non sbaglio.

– Sì, ormai mancano poche settimane. Grazie a dio, non vedo l’ora di andarmene da New York.

– Hai già qualche idea su cosa fare dopo? Scommetto che le università faranno a gara per averti!

– Ho deciso di tornare a Starbright Beach, insegnerò al liceo Douglass.

Lei lo guardò sorpresa. – Per quale motivo faresti una cosa del genere?

– Sembri davvero interessata, sai? – fece lui, vagamente divertito.

– Lo sono – rispose seria. – Perché torni qui?

– Perché mi fa comodo, ci sono i miei genitori, e voglio andarmene da New York.

– E rinunciare a una possibile carriera lì o in qualunque altro posto decente?

– Ti dirò, alla fine insegnare chiacchiere polverose sommate ad altre chiacchiere polverose a universitari o liceali è più o meno lo stesso dappertutto.

Evis sospirò, stavolta in modo triste. – Una volta amavi quello che facevi. Anche a scuola, quando scrivevi… ti brillavano gli occhi. E adesso sembra davvero che non ti piaccia più.

– Vuoi che ti dica la verità? – ghignò, era una cosa che ormai gli veniva naturale. – No, non mi piace più. Non mi piace più niente.

Lei studiava i suoi movimenti in silenzio, e per un po’ nessuno dei due parlò.

– Sono pietoso, eh?

– No, non lo sei per niente. Ma stai soffrendo. E sono felice di averti incontrato per caso qui dentro, oggi pomeriggio.

– Credo di aver in qualche modo monopolizzato la nostra conversazione. Hai detto che volevi parlarmi di qualcosa.

– Era più urgente sentire quello che avevi da dire tu.

Allargò le braccia con fare teatrale. – Allora, il minimo che possa fare è ascoltarti a mia volta. Visto che sei diventata una così attenta uditrice.

– Prendimi pure in giro, non m’importa.

– Sei cambiata sul serio, sai?

– Già, non sono più la stessa che conoscevi tu – confermò lei, guardandolo negli occhi. – Ho pagato il mio debito con la giustizia, e nel frattempo sono riuscita a capire perché le mie emozioni mi abbiano portato a commettere tante azioni estreme. E adesso ti dirò quello che volevo dirti. Ray, ho scoperto di soffrire di disturbo borderline della personalità.

– Evis… – Ray cambiò espressione, diventò improvvisamente più serio. – Mi dispiace molto.

– Oh, non preoccuparti. Fa meno paura di quello che sembra. Un bel gruppetto di medici mi ha fatto capire meglio come funziona la mia testa, e devo dire che anche i farmaci mi hanno dato una grossa mano. Oggi ti sorprenderebbe sapere quanto sono stabile e matura, rispetto a quella ragazzina odiosa che ti ha tradito col tuo migliore amico. – La ragazza appoggiò il viso alla mano, continuando a fissarlo dritto in volto. – Adesso c’è una cosa che vorrei chiederti.

– Sarebbe? – domandò lui, incuriosito.

– Permettimi di starti vicino.

– Vicino? – fece lui, confuso. Lei annuì, grave.

– Ray, tu stai davvero una merda. E il fatto che ci siamo incontrati per caso… penso che sia un segno del destino. Adesso è il mio turno di fare qualcosa di buono. Consideralo un riscatto.

Lui la guardò, poi gli occhi si persero sul tavolo. – Vuoi salvarmi? – il suo tono era amaro e stanco, come il sorriso accennato che gli si era dipinto in faccia. – Non c’è più niente da salvare, Evis. Vorrei dirti che ho il cuore spezzato, e che me ne porto gli strascichi, ma a me sembra di non avere neppure più la capacità di soffrire. Lei non ha mai più voluto parlarmi, per quanto ne sapevo io non esisteva più. Sai chi mi ha detto che fine aveva fatto? Edge. Mi sembra tutto assurdo, nemmeno nei miei sogni più oscuri avrei potuto concepire un finale così malato per la nostra storia. Lei ha deciso di fidarsi di Edge, e farsi aiutare da lui. Lui, capisci? E mi ha tagliato fuori per sempre dalla sua vita. – Evis non rispose, e aspettò che lui continuasse. – Nemmeno troppo tempo fa era tutto perfetto. L’ho pensato spesso, sai, che tutto quello che mi è successo fosse una specie di punizione – disse, e sembrava quasi divertito. – Io avevo tutto. Scrittore di successo, giovanissimo. Un lavoro fantastico all’università che mi appassionava e in cui ero bravo, anzi, fottutamente bravo. Quante persone possono dire lo stesso? Per non parlare dell’appartamento in centro a Manhattan, tutti vogliono un appartamento in centro a Manhattan, e l’affitto che pago non è neppure così alto, un vero affare. Eppure, non vedo l’ora di disfarmene – rise, ma la sua era una risata gelida, senza la minima traccia di gioia. – Ma soprattutto sai cosa mi rendeva superiore al resto del mondo? Lei. E mi sarebbe bastato anche solo questo per sentirmi come un dio. Non c’era niente che potesse farmi cadere. O anche solo vacillare. Potevo trionfare sul mondo. – Fece schioccare la lingua, stringendo con rabbia il bicchiere di cartone coi residui di caffè. – Nel mondo classico la ubris, tracotanza, era l’arroganza, la sfida alle divinità. Non riuscivo a fare a meno di credere che io quella felicità me la meritavo, era mia di diritto.

Evis vide una lacrima scivolare sulla sua guancia e confondersi nella barba nera. Lui l’asciugò con un gesto brusco della mano. – Il momento più incredibile della mia vita è stato un mese esatto prima che andasse tutto in malora. – Strinse più forte il bicchiere, e un po’ di caffè fuoriuscì, sporcandogli la mano, ma lui sembrò non accorgersene. – Stava ritinteggiando. Aveva il pennello in mano e qualche goccia di vernice sulla guancia, qualcuna tra i capelli. Come colore avevamo scelto un azzurro chiaro. Ma a lei non bastava, e quindi aveva deciso di disegnare delle nuvole rosa ovunque, perché il bambino non crescesse con stereotipi di genere. – Gli tremarono le labbra. –… lei pensava sempre a queste cose, sai? Chi si sarebbe preoccupato di disegnare delle nuvole rosa? “Mio figlio non crescerà credendo che il rosa è per le femmine e l’azzurro per i maschi!”, andiamo, chi, chi l’avrebbe pensata una cosa così? – singhiozzò lui, non curandosi più delle lacrime che adesso si moltiplicavano sul suo viso. – Si è girata e mi ha sorriso, e io me ne stavo lì a guardarla come uno scemo e poi ho pensato “Cara vita, ho vinto io. Ti sfido a rovinare tutto questo”.

Ray si accasciò sul tavolo, scosso dai singhiozzi. Evis si alzò e corse ad abbracciarlo. Sentiva i suoi sussulti, la sua voce spezzata. – Se non l’avessi pensato… forse adesso…

– No, Ray, non puoi colpevolizzarti per quello che è successo. Nessuno ne ha colpa.

– Io l’ho persa, Evis. L’ho persa per sempre. Lei se n’è andata. Perché non è rimasta con me?

– Forse la verità è che avevate bisogno di cose diverse.

Ray aveva abbassato lo sguardo, perdendolo in quel bicchiere di caffè semidistrutto. Aveva scosso la testa. – L’unica cosa di cui avevo bisogno era lei. Ma io, invece, non le bastavo.

Evis gli accarezzò la schiena, e tentò di calmarlo. –… perché adesso non usciamo, e facciamo un giro in spiaggia? Ti farà bene fare due passi.

–… forse dovrei solo tornare a casa.

– Sciocchezze, non è isolandosi che si ritorna a galla. – Gli sorrise incoraggiante, dandogli un buffetto sul viso. – Non pensare a me come a “Evis Bishop”, e a quello che c’è stato tra noi. Prova a considerami come una persona tutta nuova, che ha un gran bisogno di pareggiare i conti col suo passato. Ray, io ho fatto delle cose che non hanno giustificazioni. Ho mentito, manipolato, commesso crimini. – Si prese una pausa, tornando a sedere di fronte al ragazzo. – Ma poi ho trovato qualcuno disposto a supportarmi, che non ha mai mollato. E adesso sono in via di guarigione, il mio terapeuta è felicissimo dei risultati che abbiamo raggiunto. Sai, le persone che hanno un disturbo come il mio, se non vengono aiutate, non riescono a gestire bene le proprie emozioni, ne vengono schiacciate. L’impulsività è un motore costantemente attivo, incontrollabile. Per me era esattamente così, te lo ricorderai. – Piegò il collo, sospirando. – I concetti di bene e male erano troppo difficili da comprendere o tenere a bada. Quando Edge mi lasciò per l’ultima volta… raggiunsi il mio punto più basso. Nella mia testa c’era un solo pensiero. Riconquistare Ray. Ero convinta che se io e te fossimo tornati insieme, quel male che sentivo dentro di me sarebbe sparito. E avrei fatto di tutto per arrivare a quello che desideravo. Mi vergogno così tanto di quello che ti ho fatto, di quello che ho fatto a Angel, e quella confessione al 24Mart? Cavolo, che follia… però, quel giorno ha avuto dei risvolti positivi. Quando mi hai detto che dovevo andare avanti con la mia vita, ho iniziato sul serio a dedicarmi alla mia terapia. E adesso sto meglio, e voglio essere tua amica, aiutarti a uscirne. Ricambiare quello che hai fatto per me. Lasciamelo fare.

–… non so se potrò mai uscirne – ammise lui, con lo sguardo basso.

– Per cominciare, usciamo da qui. E almeno per questo pomeriggio facciamo finta che vada tutto bene. A partire da oggi, ogni giorno fingeremo che vada tutto bene, un passetto alla volta. E, un giorno, vedrai che non sarà più come fare finta. Te lo prometto, Ray. Si sistemerà tutto.

Lui annuì, e si avviò verso il bagno. Aveva gli occhi arrossati, era da tanto che non piangeva.

Si bagnò il viso con acqua fredda, le gocce sembravano spilli sulla sua pelle. Si sarebbe rasato, appena tornato a casa. Prese il telefono e chiamò Sean.

Hey, tutto okay?

– No, Sean. Per niente.

… hai deciso di tornare ad essere sincero sui tuoi sentimenti? – disse il suo amico, divertito e comprensivo allo stesso tempo.

– Credi che stasera potremmo vederci da soli? Ho bisogno di una serata tranquilla, solo con te.

Non c’è problema. Ray…

– Dimmi.

Ti voglio bene.

– Anche io, Sean. Grazie.

Attaccò e si passò le mani sul viso. Guardò nello specchio e la vide, era appoggiata al muro. Pallida, spettrale. La sua espressione era vitrea. La sua voce un sibilo.

Com’è stato rivederla, dopo tanto tempo? È molto bella, vero?

– Non dire stupidaggini, lo sai che non significa niente. Abbiamo solo parlato.

Io voglio solo che tu sia felice, lo sai. Anche se ammetto che con lei mi darebbe davvero fastidio.

– Se avessi voluto davvero la mia felicità, non mi avresti lasciato. Io sono diventato l’ombra della persona che ero. Tu mi hai fatto questo.

Allora forse è davvero positivo aver incontrato proprio lei. È ovvio che dopo tutto questo tempo prova ancora qualcosa per te, e tu potresti farmela pagare. Basterebbe così poco.

– Sai che non farei niente del genere. E non sono certo io quello che se n’è andato in giro per il mondo con Edge, d’altronde.

Ray, tra me ed Edge non è successo nulla. Glielo hai chiesto mille volte e lui mille volte te l’ha confermato. È che vuoi usarla come una scusa per odiarmi e odiare la tua vita. E adesso stai immaginando che io sia qui perché ti senti in colpa.

– Perché diavolo dovrei sentirmi in colpa?

Perché stai pensando di darle una possibilità come amica e riammetterla nella tua vita. E anche perché hai pensato che fosse carina con quel blazer rosso. E a me il rosso è sempre stato male.

– A te non importerebbe, dopotutto. A te non importa niente di me.

Ray, se credere queste cose ti fa sentire meglio, fa’ pure. Odiami. Devi dimenticarti di me, prima o poi.

– Non mi dimenticherò mai di te. Mai.

Guardò nello specchio e non la vide più, e se avesse potuto avrebbe frantumato quel vetro maledetto in cui era apparsa per tirarla fuori, stringerla a sé con le dita insanguinate, dirle che l’amava.

Che l’avrebbe amata per sempre, in ogni dannato momento di quell’inferno in cui stava vivendo da quando se n’era andata. Si coprì gli occhi e soffocò un urlo nella gola.

 

Episodio Otto

Editing: Gloria Macaluso

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