Dodici La Serie – Episodio 5
16 marzo 2008,
Starbright Beach, Los Angeles, California
Si coprì gli occhi con la mano, poi passò a tutto il viso, quasi come se quel movimento potesse cancellargli la faccia. Appoggiò la schiena al furgoncino di Nick, dietro di lui. Prese il pacchetto di Camel Orange che aveva nella tasca e lo aprì, portandosi una sigaretta alle labbra. Ne offrì una anche a lei, che rifiutò. – Bene, fumare fa schifo.
Tirò la testa all’indietro, e l’accese. Fece una risatina incredula, e lei lo guardò incuriosita. – Perché ridi?
– Mi domandavo se avessi dovuto prenderti la mano, prima. Quando siamo usciti dal locale – continuò a ridacchiare. – Sai, per una questione di buonsenso. – Si fermò per aspirare una grossa boccata di fumo. – Buffo, no? Pensare al buonsenso, proprio adesso.
Lei si grattò la testa, i suoi capelli biondi erano ancora sfatti, il viso leggermente arrossato sulle guance. – Ti senti in colpa?
La sua risata si fece fredda, amara. – No. Dopo quello che ho fatto non mi sento nemmeno in colpa. Dio, quanto faccio schifo… – Fumava, riflessivo. Dopo una manciata di secondi, borbottò: – Credo proprio di essermi guadagnato un biglietto di sola andata per l’inferno, stasera.
– Edge, abbiamo perso il controllo… può succedere. – disse la ragazza, stretta nelle spalle. E allora ogni traccia di divertimento, per quanto fredda, sparì dal suo viso.
– Non raccontarti questa stronzata, Eve – fece severo. – Sapevamo benissimo quello che stavamo facendo. E se solo fosse stato brutto, insoddisfacente… se non avessi fatto il sesso più grandioso della mia vita con te, forse ora mi sentirei meno di merda. – Lanciò via la sigaretta, schiacciandola col piede destro per spegnerla. – E invece ho scopato con la ragazza del mio migliore amico. E poi mi sono chiesto se avessi dovuto prenderti per mano, per buonsenso.
Lei si avvicinò a lui, e parlò con tenerezza. – Lo volevamo troppo, abbiamo aspettato fino a che abbiamo potuto.
– Aver aspettato non ci rende certo persone migliori.
– Lo so. Ma forse non m’importa di essere una persona migliore.
Edge sollevò il mento della ragazza, avvicinando le labbra alle sue. – Perché devi essere così bella, eh?
Si sporse in avanti, baciandolo, mentre lui la stringeva a sé.
– Avrei dovuto prenderti per mano, scusami. Ero davvero frastornato.
– Va bene anche così, lo capisco. – Continuarono a baciarsi, contro il furgoncino. – Vuoi venire a casa mia? I miei sono via fino alla settimana prossima. Non c’è nemmeno mia sorella.
– Mi stai davvero invitando a casa tua?
La ragazza annuì. – Sì.
– Cosa siamo adesso, quindi? – chiese lui, il tono riacquistò una vena ironica. – Amanti?
– Non lo so, Edge. So solo che voglio passare la notte con te. E tu?
– Non credo di aver desiderato mai così tanto qualcosa, prima. – La baciò ancora sulle labbra. – Vado a salutare i ragazzi, gli affido il basso e torno da te. Aspettami qui.
Le diede le spalle e si avviò all’ingresso del locale. Era arrivato lì alle cinque di quello stesso pomeriggio pensando solo che avrebbe presentato il suo primo EP, non che avrebbe anche gettato alle ortiche la sua anima. Dopo tutto il lavoro che c’era stato, interi weekend passati a comporre e provare nella cantina a casa di Gus, avrebbero suonato i loro brani, quelli scritti con le proprie mani, non più cover o pezzi di altri, e l’avrebbero fatto su un palco vero. Si era sentito euforico, mentre le sue dita colpivano con precisione la paletta del basso elettrico. E poi aveva incontrato gli occhi di lei, nella folla. Due lampi viola in mezzo a tutto il resto. E gli avevano scatenato dentro un demone famelico e spietato. Aveva sperato con tutte le sue energie che se ne andasse, di non restare da solo con lei. Ma non era successo.
Si fermò a osservare l’insegna del Beep Hop. Un alone giallo circondava il filo al neon che componeva la scritta, e brillando sullo sfondo della notte quella gli sembrò la luce di un faro. La nave in tempesta dov’era? Si voltò a guardare la figura di Evis, in lontananza. Stava scrivendo un messaggio al cellulare, e anche lei era illuminata dalla luce di un lampione. Una fiamma oppure un faro? Era forse lei, la nave in mezzo ai flutti? Con le vele rotte, il timone impazzito. Oppure, ne era il capitano, e quello rimasto alla deriva per poi ritrovarsi nel bel mezzo del naufragio ad aggrapparsi a un appiglio meraviglioso e terribile era stato lui?
Tornò a guardare la scritta. Quel bagliore cancellava le tracce celesti. Non c’era una stella polare. Non c’era una direzione da seguire.
Aprì le porte ed entrò. Erano rimasti pochi avventori, forse una decina di persone, tra cui Gus e Nick, che stavano smontando le ultime cose sul palco. Si avviò a passi pesanti verso i suoi compagni di band. Avrebbe dovuto essere la loro sera, l’esordio dei Diving Jack nel mondo della musica emergente. Non più seratine del cazzo a suonare repertori su richiesta, ma l’inizio di un sogno insieme. E lui si era gettato a capofitto nelle fauci di una voragine insanabile che non aveva niente a che fare con la band e con la musica emergente. Il suo sogno era passato in secondo piano? Aveva permesso questo? Si era perso tra le onde, senza una rotta, e aveva dimenticato completamente perché era arrivato lì, alle cinque del pomeriggio? Cosa avrebbe ricordato di quella notte? L’inizio della storia dei Diving Jack o il punto più basso raggiunto dalla sua condotta morale?
– Baker, ma che diavolo di fine avevi fatto? – chiese Gus, più curioso che seccato. Edge saltò agilmente sul palco, e lo aiutò a mettere a posto i cavi.
– Evis… d-doveva parlarmi di una cosa importante – bofonchiò lui, con scarsa convinzione. Gli altri due si scambiarono uno sguardo eloquente, dovevano aver intuito qualcosa.
– Amico… – fece grave Nick, era seduto sul seggiolino della batteria. Stava svitando i bulloni dei suoi piatti. – Che diavolo hai combinato?
– Ragazzi, non lo so… – rispose lui, passandosi una mano tra i capelli. Si accorse che tremava.
– Sei stato parecchio in bagno, prima – insinuò Gus, chiudendo la custodia della sua chitarra. – Non eri solo, vero? Cioè, figurati, non ti giudicherei mica, una battaglia cinque contro uno fa sempre bene all’anima, ma tu non eri solo, giusto?
– I-io… – balbettò ancora Edge, e quello sgranò gli occhi.
– Evis? – chiese Gus, sconvolto.
– E-ecco…
– Quindi ti sei davvero scopato la biondina? Non ci credo! – Gli diede una pacca forte sulla spalla. – Nick, mi devi dieci dollari.
– Avete scommesso su questa cosa? – fece lui, sgomento.
– Certo, bello – rispose, con un sorrisone. – Sapevo che il mio Edge non mi avrebbe deluso. Hey, cos’è quella faccia? Evis è almeno un dieci pieno. Dovresti essere contento di aggiungerla alla tua lista.
– Smettila di dare voti alle ragazze, è rivoltante – disse Nick, mentre sistemava gli ultimi pezzi della batteria.
– Nick – mormorò Edge, lui lo fulminò con lo sguardo.
– Anche tu sei rivoltante – disse quello, lapidario. – Andiamo, è la ragazza di Ray.
– Non so perché l’ho fatto.
– L’hai fatto perché tu ragioni con quel coso che ti ritrovi tra le gambe – aggiunse il batterista. – Edge, che diamine, è il tuo migliore amico.
– Nicky, hanno diciassette anni, nessuno dovrebbe avere una ragazza fissa a diciassette anni – aggiunse Gus, con noncuranza.
– Io ce l’avevo.– disse lui, con aria di sfida.
– Sì, be’ guarda un po’, ti ha tradito, e ci hai messo tre anni per ricominciare ad uscire con qualcuna. O sbaglio? – rispose Gus, allargando le braccia; poi si rivolse ad Edge: – Amico, per quello che conta, io non ti trovo affatto rivoltante. Cioè… si tratta di Evis, è tipo il sogno proibito di ogni uomo. A parte Nick, vero? San Nick non mette i voti alle ragazze.
Nick lo ignorò, concentrato su piatti e pezzi della batteria.
– Lei ti ha praticamente dato in mano le chiavi del paradiso, e tu le hai usate. Che c’è di male?
– Ehm, pronto? – sbottò Nick, con fare ovvio. – C’è di male che Ray è il suo migliore amico. Devo ripeterlo?
– Ray se ne farà una ragione, è un ragazzo intelligente. Edge è un musicista, uno spirito libero, la passione non è una roba che puoi controllare. Lui ha semplicemente seguito il suo esprit.
– Il suo esprit voleva che si trasformasse in un bastardo traditore? – chiese il batterista, Gus fece schioccare la lingua.
– Senti, non è detto che Ray debba saperlo – liquidò Gus, e passò a chiedere a Edge i particolari, ma lui restava a fissare Nick. Quello se ne accorse, ma evitò di guardarlo negli occhi. Era evidentemente arrabbiato. – Non guardare me, Edge. Non è compito mio assolverti.
– È una che grida, eh? L’abbiamo sentita fino a qui. O sei bravissimo o è una che si accontenta di poco – aggiunse Gus, dandogli delle gomitate, mentre Nick chiudeva le borse e si avviava a caricare il furgone, senza degnarli più di uno sguardo. – Lascialo perdere, Edge. Nick è un bacchettone rompicoglioni. – Gus alzò le spalle. – Allora? Quant’è stato incredibile?
– Gus, non posso credere di averlo fatto sul serio. Perché diavolo dovevo farlo?
– Perché quella lì è una bomba sexy, e perché te l’ha servita su un piatto d’argento. E adesso dov’è? – fece lui, guardandosi intorno. – Dov’è la bella bimba?
– Mi aspetta fuori… vuole che… – Edge sospirò. – Vuole che vada a dormire da lei.
– Sì, immagino dormirete parecchio. – Gus scoppiò a ridere. – Dammi il basso, puoi venire a prenderlo da me domani dopo scuola.
Edge riprese il basso, lo ripose con cura nella sua custodia.
– Vorrei che ogni locale mettesse a disposizione gli amplificatori, così non dovremmo portarci ogni volta tutta quella roba. – sospirò Gus. – Stavolta abbiamo solo fili e strumenti, è così comodo. Finisci di suonare e smonti, easy.
Ripercorse in un istante cos’era successo da quando aveva posato il basso, dopo l’ultima canzone. Lo scroscio di applausi. Le chiacchiere, il vociare, la gente che ballava e beveva. I suoi amici seduti ad un tavolo, tutti lì per lui. Dopo il concerto erano andati via. “Amico, mi sa che Evis è ancora qui”. L’aveva notata. “Edge, possiamo parlare?”. Come avevano fatto a ritrovarsi nudi contro la porta di un bagno solo dieci minuti più tardi? Ripensò alla sua voce che invocava il suo nome. – Edge? Ma mi ascolti?
– Cosa? – fece lui, riscuotendosi. Gus scoppiò a ridere.
– Niente, ti chiedevo se avessi usato le precauzioni.
Le aveva usate? Non ne era nemmeno sicuro. Aveva un vago ricordo di cos’era successo prima di spogliarsi. Tutto il sangue sembrava aver abbandonato il suo cervello per fiondarsi a irrorare la zona pelvica. Poi gli tornò in mente. Dio, Evis gli aveva messo un preservativo addosso. Si prese a schiaffi da solo.
– Edge, smettila! – Gus gli afferrò le mani. – Smettila, okay?
– Gus, Cristo, che cazzo ho combinato?!
– Non lo stai realizzando solo adesso, vero? – chiese quello, seriamente preoccupato.
– Ray… oddio, Ray! Questo lo ucciderà. Come ho potuto? Come?!
– Senti, non ti preoccupare. Ray non c’era, non lo saprà mai. Puoi contare sul nostro silenzio, Nicky è un bigotto, ma è tuo amico e non ti tradirebbe mai – rassicurò quello.
– Non sono certo te – disse Nick, comparendo alle loro spalle.
– Nick, ho fatto un macello – mormorò Edge, sconvolto.
– Già – confermò lui, ostile. – Evis ti sta aspettando fuori. L’ho trovata vicino al mio furgoncino. Sbrigati, accompagnala a casa.
– Io…
– E poi vai dritto a casa tua – sentenziò il batterista, puntandogli contro un dito. – Chiudi questa storia adesso, prima di farti male seriamente.
– Sì, farò così – rispose lui, facendo un cenno di assenso. – L’accompagnerò a casa. Metterò in chiaro che non succederà più. Non deve succedere più.
– Quindi stai rinunciando a una notte di fuoco con quella dea? – chiese Gus, scioccato. – Sei diventato pazzo, Edge?
– Gus, piantala – intimò Nick, lui lo guardò con tanto d’occhi.
– Nicky, io ed Edge siamo veri uomini. Non cercare di trasmetterci questo… – La sua mano si mosse davanti a Nick, quasi come per scacciare delle mosche invisibili davanti alla sua faccia. – Qualunque cosa ti impedisca di essere un vero uomo. – Si rivolse ad Edge: – Amico, ti prego, a nome di tutti gli uomini eterosessuali del mondo, non dargli ascolto.
– Gus, ti rendi conto che anche Ray va a letto con lei, vero? – chiarificò Nick, ed Edge impallidì.
– Be’, non dev’essere un granché se lei ha cercato Edge – disse Gus.
– Non fate paragoni sessuali tra me e Ray, potrei vomitare. – Edge si coprì il volto con le mani, sentiva il sudore imperlargli la fronte.
– Edge, hai fatto un macello, ma non è tutto perduto. Fa’ in modo di chiuderla qui, e vedrai che sarà possibile arginare il danno – aggiunse Nick, per la prima volta incoraggiante dall’inizio di quella assurda conversazione.
– Okay – annuì lui. – Farò come dici tu.
– Che spreco – concluse Gus, scuotendo la testa sconsolato, mentre Edge usciva per tornare dalla ragazza.
– Tutto bene? Sei stato via parecchio… – disse Evis, accarezzandogli il viso.
– Sì, ecco… ho aiutato i ragazzi a mettere tutto a posto. Andiamo. – Edge la guidò fino alla sua moto, passandole un casco. L’avrebbe accompagnata a casa e poi sarebbe filato via, seduta stante.
Sentì che lei si stringeva forte a lui, avrebbe voluto restare in quell’abbraccio per sempre. Senza doverla lasciare, senza doverla affrontare per dirle che non sarebbe successo più nulla tra loro due.
Imboccò il vialetto di casa Bishop. Le luci dell’intero quartiere erano spente. Regnava il silenzio, rotto soltanto dal rombare della moto. Parcheggiò, ma restò ancorato alla sella.
Sentì che lei scivolava giù con grazia, slacciandosi il casco. – Che fai?
Non rispose. Non la guardò. Lei fece il giro e lo fronteggiò. – Edge?
– Non posso.
– Non puoi cosa?
– Fare sesso con te.
Lei fece un sorrisetto malizioso. – Mi sa che per quello è un po’ tardi. Te lo ricordi, vero?
– Intendo di nuovo. Non posso, dobbiamo chiuderla qui.
– È quello che vuoi? – chiese lei, nella sua voce non c’era impazienza o rabbia. Anzi, il suo tono era dolce, comprensivo. – Se è quello che vuoi, va bene.
– Non è quello che voglio – rispose, con sincerità.
– E allora cosa vuoi, Edge?
Lui alzò lo sguardo e incontrò quello di lei. – Quello che voglio io non conta.
– Perché?
– Perché lui è il mio migliore amico – disse, sconfortato. – Non voglio peggiorare le cose.
– Nemmeno io voglio ferire Ray – aggiunse lei, prendendogli una mano. Intrecciò le dita a quelle di Edge. – Ray è così dolce… è un ragazzo affidabile, non è certo come te.
Lui fece una risatina. – Io sono proprio uno stronzo.
Evis rispose con un sorriso bellissimo. Edge pensò che non aveva mai visto una ragazza simile. – Già. Soprattutto perché sei ancora qui.
– Dovrei andarmene.
– Forse dovresti, ma non lo farai – sentenziò la ragazza. – Non vuoi farlo, e non dovresti costringerti.
– Sì, è proprio quello che dovrei fare. – Scese dalla moto, lanciò il casco sul prato e afferrò Evis per i fianchi. – E invece sono uno stronzo.
Iniziarono a baciarsi e svestirsi ancor prima di chiudere la porta di casa. Evis gli saltò al collo e si recarono al piano di sopra per gettarsi sul letto della sua cameretta. Salire le scale in quella posizione si rivelò un po’ difficile, ma nessuno dei due riuscì a staccarsi dall’altro.
La stanza di Evis aveva le pareti rosa, ed era disseminata di sue foto. Sul suo comodino, ce n’era una in cui era insieme a Ray, scattata la sera dell’ultimo ballo di fine anno.
– Potresti…
Lei si voltò e vide la foto, abbassandola. – Fatto.
– Grazie. La tua stanza è orrida, comunque. Mi sembra di trovarmi in una fabbrica di caramelle alla fragola.
– La prossima volta mi farai vedere la tua.
Ripresero a baciarsi con più foga, e ormai non indossavano più nulla.
– Mi stai dicendo che ci sarà anche una prossima volta?
– Lo sai tu come lo so io.
Lo sapeva, e dentro di sé chiese scusa a Nick, perché non volle scappare. La prese tra le braccia, e insieme si tuffarono dritto nel mezzo di quella tempesta. E capì che forse nessuno dei due era un capitano, né lui né lei tenevano il timone, ma semplicemente entrambi non erano altro che relitti dalle vele strappate, e i loro corpi avvinghiati le disintegrarono lasciandone solo brandelli. Pezzi di stoffa abbandonati tra le onde. Le braccia e le gambe divennero flutti e ogni bacio condannava a morte un nuovo naufrago, spingendolo giù, dove non c’era più aria, e la sua voce gemeva e sembrava vento pronto a infrangere la prua di un’intera nave. Il legno distrutto scivolava nella sua tomba marina, così come anche loro erano ormai affondati, e avrebbero toccato le sabbie immerse nel cuore dell’oceano. Le acque nere sgorganti dalle loro colpe. Nessun faro aveva potuto salvarli dall’abisso.
Dentro di lei aveva messo a tacere ogni scrupolo, e dimenticò quell’insegna gialla, e la luce di quel lampione. E pensò che non gli importava più neppure dell’inferno. Non gli importava di niente, adesso.
Edge si svegliò alle prime luci dell’alba. La testa di Evis sul suo petto nudo. Doveva correre a casa subito, e fingere di averci anche dormito. Cercò di svegliarla dolcemente. Evis aprì gli occhi e lo guardò.
– Edge – disse lei, con una voce dolcissima, accoccolandosi di più a lui. – … che ore sono?
– Le quattro e mezza. Devo andare a casa – sussurrò, baciandole la testa. I suoi capelli profumavano di vaniglia. – Non avevo detto ai miei che passavo la notte fuori.
– Dai, resta qui, con me… – piagnucolò lei, abbracciandolo. Edge sorrise, la baciò sul collo, pensando quasi di starla a sentire, però si fermò.
– Dobbiamo andare a scuola – rise lui, mentre lei continuava ad aggrapparsi al suo corpo, per non lasciarlo alzare.
– Non ci vado oggi, sono troppo felice! Non mi va di rovinare tutto andando a scuola.
– Be’, io devo andarci oppure mio padre mi ammazzerà.
– Cos’è, adesso diventi un bravo bambino e segui le regole? – canzonò lei. Edge si voltò a guardarla. Era avvolta tra le lenzuola bianche, aveva ancora quel suo sorriso magnifico.
– Tornerò oggi pomeriggio.
– Lo giuri?
– Lo giuro. Eve… – Edge le prese la mano, guardandola dritta in volto. – Ray non lo verrà mai a sapere, vero?
– Mai. Te lo prometto.
– D’accordo. – Baciò le sue labbra un’ultima volta e poi si lanciò fuori, correndo come un forsennato verso casa. Rientrò, sperando di non beccare suo padre ma purtroppo lo trovò arrabbiato, piantato di fronte all’ingresso.
– Edgar Gregory Baker. Sai che ore sono?
– Ero coi ragazzi… ho perso la concezione del tempo.
– Dai, Greg, lascialo stare – mormorò Caroline, la matrigna. Edge la guardò con gratitudine.
– Edge, sei in punizione! Le responsabilità sono importanti, e tu non puoi…
Suo padre continuò a sbraitare, e la moglie lo interruppe: – Greg, Edge deve andare a scuola tra poche ore. Ha bisogno di dormire un po’.
L’uomo si fermò, sospirando. La donna gli fece cenno di correre in camera sua e lui colse al volo l’opportunità. Si chiuse dentro e ignorò i suoi che discutevano. Grazie a Dio, poteva sempre contare su Caroline. Si spogliò e si mise il pigiama, infilandosi sotto le coperte. Il suo cellulare s’illuminò. Era lei. Voleva sapere se era tutto a posto.
Che cosa avrebbe dovuto rispondere? Sì. Ma era davvero tutto a posto?
Guardò il soffitto, ripensando alla notte folle appena trascorsa, mentre il sole dava inizio a una nuova giornata. Avrebbe guardato negli occhi il suo migliore amico, dopo averlo tradito, e gli avrebbe mentito. Per la prima volta nella sua vita gli avrebbe nascosto qualcosa. Quell’idea gli strinse la gola. Non riuscì a chiudere occhio. Si alzò e andò a prepararsi, infilandosi nella doccia.
S’illuse che il getto d’acqua bollente potesse purificare il suo corpo, le sue mani, le dita che avevano sfiorato la morbidezza della sua pelle proibita. Strinse le palpebre. Spense l’acqua. Non si era mai sentito tanto sporco.
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