Dodici La Serie – Episodio 4

11 febbraio 2011,

Brooklyn, New York City, New York

 

– Hey, Dani California, cinque minuti e tocca a noi. Sei pronta?

Angel McMahon annuì con decisione, ma subito dopo fece fatica a deglutire. Le pareti del camerino sembravano essersi ridotte. Il ragazzo che aveva parlato poco prima era appoggiato allo stipite della porta. Stava studiando con cura la sua espressione.

– Tesa?

– Un po’ – rispose lei, mettendo una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio. Il ragazzo le si avvicinò e mise una mano sulla sua spalla. Era molto più alto di lei: era come stare di fronte a una torre umana.

– Sei la cantante più brava del nostro anno.

– Questa è una bugia, ma grazie per averlo detto – fece, con un sorriso grato. Lui sollevò la mano, portandosela al fianco.

– Non è affatto una bugia. E poi anche Ella Fitzgerald è sempre stata molto nervosa, prima di esibirsi. E lei era la migliore al mondo; direi che sei in buona compagnia.

– Se dovessi confondermi con la struttura dei brani? O se i miei soli facessero schifo? – piagnucolò lei.

– I tuoi soli non fanno mai schifo – rassicurò, col tono di chi aveva ripetuto la stessa cosa già un milione di volte, mentre una terza persona si univa a loro.

– Come sta la mia coinquilina preferita e anche l’unica? – chiese una ragazza dai capelli corti, di uno sgargiante blu elettrico da poco ritoccato. Aveva la tracolla della chitarra acustica sulla spalla sinistra e tra le mani custodiva lo strumento come se fosse stato una reliquia sacra. – Te la stai facendo sotto, eh?

– Sì – confermò lei, sospirando.

– Keith, che ci fai nel camerino di Angel? – chiese la nuova arrivata, indagandolo con sospetto.

– Volevo solo vedere come se la passava – si giustificò lui, alzando le spalle. La ragazza dai capelli blu continuò a scrutarlo, diffidente.

– Perché non vai a controllare l’accordatura del contrabbasso?

Lui sbuffò. – D’accordo. Ci vediamo sul palco.

– Certo, sì, ciao-ciao, Keith – rispose acida, poi rivolgendosi ad Angel: – Prima o poi ti chiederà di uscire insieme, me l’ha detto Pete.

– Non credo proprio, sa bene che ho già un ragazzo.

– Sappiamo com’è fatto Keith. Essere impegnata non è un particolare che sembra averlo mai fermato dal provarci con una ragazza che gli piace. E tu gli piaci da morire. Andiamo, cos’è quel soprannome ridicolo, Dani California? Tutti sanno che non ti piacciono i Red Hot Chili Peppers.

– Quando gliel’ho fatto notare, mi ha detto solo che non gli importava e che avrebbe continuato a usarlo – fece Angel, alzando le spalle.

– Sì, è convinto che se fa il duro ti conquisterà – disse l’altra; sul viso un sorrisetto divertito.

– Be’, prima o poi capirà che non c’è niente da fare – concluse Angel, con semplicità. – Michelle, ho così tanta paura di mandare a monte tutti i nostri sforzi…

– Ascoltami, Ange… – Michelle si mise a sedere sull’unica sedia libera nel camerino e le sue dita iniziarono a muoversi velocemente sulle corde della chitarra.  – tu sei una cantante eccezionale. Abbiamo provato fino alla nausea. Andremo su quel palco e faremo un figurone. Mi credi?

Aveva detto di sì, ma forse il suo tono aveva tradito una scarsa convinzione. Michelle sospirò.

– Se dovessi sbagliare, può succedere. A me succede sempre, e non mi sembra mi abbiate mai linciato, per questo. No? – continuò, ed Angel parve rianimarsi un po’. – Ti senti meglio, adesso?

– Sì. Grazie, Michelle. Davvero.

– E ora parliamo di cose serie. Mi è parso di vedere Ray qui fuori, quando è arrivato? Credevo non sarebbe venuto questo weekend.

Angel la guardò, sorpresa. – Infatti, è così… l’ho sentito poco fa e mi ha detto che stava per andare a dormire.

– Devo aver visto male – disse, alzando le spalle. – Be’, peccato. Volevo chiedergli altri consigli di lettura. Quel ragazzo ha dei gusti fenomenali.

– Lui è fenomenale – commentò Angel. Non poterono continuare la conversazione perché furono chiamate per salire sul palco. Michelle fronteggiò gli occhi della sua amica. – Fai vedere a tutti di che pasta sei fatta, intesi?

Lei annuì, con molta più grinta di quanta ne avesse avuta fino a quel momento. Le due ragazze si avviarono verso il palco, ed Angel raggiunse la postazione del microfono. Keith le fece l’occhiolino, tra le braccia aveva già il contrabbasso. Alla batteria c’era l’ultimo membro della band, Pete, già pronto a fare scintille; le bacchette tra le mani roteavano in giri complessi, battevano sulle gambe, e sembravano quasi sottolineare i battiti del cuore velocizzati dalla sua eccitazione.

Le luci del locale le impedirono di guardare i volti del pubblico, numeroso, che quella sera l’avrebbe sentita cantare per la prima volta col suo quartetto. Il gestore del locale presentò la band, lei non riusciva a vederla. – Questa sera, avremo il piacere di ascoltare per la prima volta il Blackbird Jazz Quartet. I membri della band sono quattro studenti del secondo anno di musica jazz alla Scuola Juilliard. Alla batteria, Pete Kowalczyk. – L’uomo si prese qualche secondo, perché terminasse l’applauso del pubblico. – Al contrabbasso, Keith De Marco.

Seconda pausa.

– Alla chitarra elettrica, Michelle Goldman.

Ultima pausa. Era arrivato il suo turno.

– Al microfono, la splendida voce di Angel McMahon.

Salutò il pubblico con un fuoco tutto nuovo, e adesso non aveva più la minima paura. Presentò i brani, e poi annunciò il primo. Bye Bye Blackbird, che dava proprio il nome alla loro band.

One, two. One, two, three, four.

Iniziò lei, con l’arrangiamento che avevano provato e riprovato, e la sua voce riempì la sala.  Poi arrivò il basso di Keith. Sugli obbligati, intervennero Pete e Michelle. Il concerto era iniziato. E sarebbe andato tutto alla grande.

 

– Straordinaria. Gliel’ho detto, è straordinaria! – fece Keith, ad alta voce, perché lei potesse sentirlo, mentre un gruppo di studenti, sia più grandi sia del loro anno, li circondava facendo loro le congratulazioni per la performance. – E un giorno avremo una big band, e tutto il mondo ci conoscerà. Grazie al nostro usignolo.

Michelle diede una gomitata ad Angel, ridacchiando. – Usignolo è decisamente più carino di Dani California.

Anche Angel rise, di gran lunga più rilassata dell’inizio della serata. Keith era stato l’unico tra loro a compiere ventun anni, e non si stava risparmiando con l’alcol. Notarono tutti che era palesemente sbronzo. Lanciò diverse occhiate ad Angel, e quando la folla circondò Pete e Michelle, si materializzò di fronte a lei. – Posso parlarti?

– Dipende da cosa vuoi dirmi – rispose lei, guardandolo negli occhi.

– Tu non senti questa cosa… tra noi due? – fece lui, sfoggiando tutta la sua dose di fascino. Angel scosse la testa.

– No, Keith. Non c’è niente tra noi due.

– Ma certo, c’è elettricità. Potremmo portare la nostra amicizia ad un livello più intimo, a me piacerebbe.

– Tu sai che ho un ragazzo, vero?

– Be’, sì, ma chi se ne frega?

– Keith, io amo il mio ragazzo.

– Una notte con me e ti scorderai di lui per sempre. Provare per credere. – Keith si era fatto più vicino, tanto che l’odore di alcol aveva colpito sgradevolmente le sue narici. Fece un passo indietro, scuotendo la testa. – Dubito, ma grazie per l’offerta.

Lui sospirò. – Non ho speranze, eh?

– Temo di no – rispose lei, con un sorrisetto.

– E va bene. Ma sappi che se col tuo ragazzo d’oro non dovesse andare bene, qui hai una grossa e muscolosa spalla su cui piangere – continuò, mettendo in mostra le braccia.

– Una proposta gentile. Tienila in considerazione, Ange – aggiunse allegramente una voce maschile alle sue spalle. Keith si voltò mentre Angel lo superava, per saltare al collo del nuovo arrivato gridando di gioia.

– Ray!

Lui la prese tra le braccia, baciandola sulle labbra. Keith li guardò un po’ stordito.

– Sorpresa, piccola! – Rivolse un veloce ghigno a Keith, che imprecò sotto voce e poi si allontanò in fretta. Michelle si avvicinò alla coppia.

– Ray! Sapevo di averti visto in mezzo alla folla!

– Ciao, Michelle. Be’ sì, volevo essere presente per la mia star. Non potevo perdermi il vostro debutto a New York.

– È così bello vederti! – cinguettò Angel, stringendosi a lui.

– Okay, voi due siete troppo smielati, mi farete venire una carie. Oh, prima che mi dimentichi, ho terminato tutti i libri che mi avevi consigliato.

– Sul serio? – chiese Ray, impressionato.

– Ora vi lascio, ci vediamo più tardi a casa. E mi raccomando: cercate di non rompere di nuovo il letto – fece Michelle ed Angel arrossì violentemente.

– Faremo del nostro meglio – rispose Ray, con un sorriso malizioso. Angel gli diede un colpetto.

– Che c’è? Sei bella da morire e mi sei mancata terribilmente, non voglio fare promesse che non posso mantenere – disse lui, a fior di labbra. – Ora che dici, possiamo salutarci per bene?

– Ciao, amore mio. Ben arrivato a New York – fece Angel, lasciva, circondando il suo collo con le braccia.

– Hai cantato come un angelo. E sono orgoglioso di te. Allora, sei contenta di vedermi?

Angel lo baciò con trasporto, e sussurrò: – Andiamo da me? Così posso dimostrarti quanto.

– Corriamo.

Salutarono velocemente il resto dei colleghi, ignorando l’occhiataccia che Keith riservò a entrambi, e saltarono a bordo di un taxi. – East Village, decima strada. Grazie – disse lei, e l’autista si avviò. – Pensavo davvero che non saresti venuto – fece poi, appoggiando la testa alla spalla di Ray, che l’abbracciò. – Sono tanto felice che tu sia qui!

– Quel Keith lo era un po’ meno.

Angel ridacchiò. – Gli passerà.

– Certo che gli passerà, tu sei mia. Meglio che se lo metta bene in testa – disse lui, Angel colse una nota strana nel suo tono, e lo guardò divertita. – Che c’è?

– Ray, sei geloso?

– Io? – fece lui, come se si trattasse di una sciocchezza. – Io sono un uomo emancipato, democratico, uno dei migliori studenti di Yale, sono esente da questi sentimenti istintivi e irrazionali.

– Ray? – insisté lei, e lui sbuffò.

– Okay, sì, sono geloso – confessò spazientito. – Sono uno stupido primate geloso della sua femmina. Sono praticamente un gibbone.

– Be’, sei un gibbone molto attraente.

– E tu sei molto eccitante mentre parli di gibboni. – Ray affondò le labbra sul collo di Angel, che scoppiò a ridere.

– Stiamo davvero per fare l’amore dopo aver parlato di gibboni?

– C’è sempre una prima volta per tutto.

 

Un’ora più tardi erano abbracciati, sotto le coperte. I vestiti sparsi alla rinfusa sul pavimento. Le scarpe e i calzini gettati in un angolo della stanza. Le dita di Ray scorrevano sulle sue braccia nude, e ogni tanto baciava le sue spalle, la sua testa. – Sei stata davvero grandiosa, su quel palco.

– Non sai quanto abbia contato per me che tu sia venuto.

Ray le baciò con dolcezza la mano. – Non potevo mancare all’inizio della tua grande carriera.

Sentirono la porta di casa chiudersi, Michelle doveva essere tornata. La sua voce gridò. – Lo so che siete svegli! Ho fame!

Angel si alzò a mezzo busto, coprendosi con le lenzuola. – Tu hai fame?

– Ora che me lo fai notare, sì. Un po’.

– Michelle, tu che vuoi? – chiese Angel, a voce alta.

– Cinese! – rispose l’altra, gridando.

– A volte dimentico che qui è possibile ordinare da mangiare anche alle due passate. – disse Ray, ridacchiando. Angel si alzò, e lui seguì il suo profilo con gli occhi.

– Non guardarmi così – intimò, senza voltarsi a guardarlo.

– Come ti starei guardando? – chiese lui, sulla difensiva.

– Come uno che vuole saltarmi addosso – fece lei, indossando il suo pigiama. – … di nuovo.

– Come riesci ad essere sexy anche con quello stupido pigiama?

– Il mio pigiama non è affatto stupido! Guarda, ci sono le pecorelle – rispose la ragazza, indicando delle buffe pecore variopinte con dei sorrisi allegri stampate sul suo pigiama a sfondo bianco. Ray rise.

– Un meraviglioso pezzo d’abbigliamento, non c’è che dire.

– Quest’anno le pecore sorridenti sono all’ultimo grido.

Ray la guardò per qualche secondo. Si sentiva incredibilmente felice. – Lo sai che ti amo?

– Ti amo tanto anch’io. – Angel si chinò per baciarlo, e lui la circondò con le braccia, riportandola sul letto, mentre lei rideva.

– Ora sei in trappola!

– Oh, no! Come farò a liberarmi dalla tua presa?

– Hey, voi due! – gridò Michelle dalla sua stanza. – Potete continuare a tubare più tardi? Ho fame! Ordiniamo cinese?

– Non mi va il cinese – fece Ray, e la voce di Michelle urlò di nuovo.

– Mettetevi addosso qualcosa e venite qui, così decidiamo insieme.

– Io sono già vestita – disse Angel. Prese i boxer di Ray e glieli passò. – Tocca a te, signor Johnson.

Glieli prese di mano e se li infilò. Poi afferrò i pantaloni del pigiama che giacevano in cima ai vestiti nel suo trolley da viaggio, aperto sul pavimento, e infine la maglia. Notò che Angel lo stava guardando. – Non guardarmi così! – disse, scimmiottandola.

– Ah-a – fece lei, lo prese per mano ed entrambi raggiunsero Michelle.

Sedeva in cucina, i capelli legati in una cipollina disordinata; aveva addosso ancora i vestiti del concerto. Trafficava davanti al pc, cercando ristoranti aperti. – Potremmo mangiare dell’aragosta fusion.

– Cos’è l’aragosta fusion? – chiese Ray, sedendole accanto. Lei alzò le spalle.

– Non ne ho la minima idea – ammise, continuando a scorrere la pagina. – Credo sia un’aragosta in tempura.

– Vi va una pizza? – propose il ragazzo.

– L’abbiamo mangiata due giorni fa, amore – disse Angel, facendo per sedersi sulle gambe di lui.

– Ah, no. Ognuno sulla propria sedia – minacciò Michelle. Angel sbuffò e si alzò, sedendo di fronte agli altri due. – Non voglio vedervi fare bambini. Non di nuovo. Quella volta in bagno mi è bastata.

– Scusa, Michelle, ci dispiace. Ma ti abbiamo promesso che non succederà più – disse Ray, divertito.

– Il sesso etero è la cosa peggiore che abbia mai visto nella mia vita – fece lei, nauseata. – Per giunta con la mia coinquilina di mezzo, e nel bagno che avevo appena pulito.

– Stai dicendo tutto questo per farci sentire in colpa e prendere il cinese per cena, vero?

– Forse – disse lei, lanciando uno sguardo ai due che avevano ripreso a ridacchiare. – Sta funzionando? Ho davvero una gran voglia di involtini primavera.

– Okay, facciamo come vuoi tu – sospirò lui, infine.

– Quanto mi costerà questa concessione, in termini di inquinamento acustico? – chiese Michelle, iniziando a ordinare il cibo.

– Non siamo mica due animali – disse Ray, fintamente offeso.

– Sbaglio, o poco fa ti sei autodefinito un gibbone? – mormorò Angel, e lui scoppiò a ridere. Michelle li guardò confusa.

– Sembrate davvero due adolescenti in piena tempesta ormonale – borbottò. – E i vostri gemiti mi fanno venire la nausea. Sento tutti i nomignoli che vi scambiate, quando fate le vostre porcate.

– La convivenza è una cosa difficile – fece lui, con aria grave. – Però, Michelle, io ed Angel abbiamo così poco tempo da passare insieme! Potresti essere più paziente, con noi.

– Ma che dici, se vieni qui quasi ogni weekend da due anni – obiettò lei. – Vivi praticamente con noi.

– Ed è per questo che siamo diventati amici, io e te. No? – chiese Ray, mettendo un braccio attorno alle spalle di Michelle. – Perché io sono adorabile, e perché amo la tua coinquilina alla follia.

– Ti tollero solo per i libri che mi consigli – disse lei, mentre un sorriso arricciava le sue labbra. – Dai, scegliete cosa prendere.

– Io spaghetti di soia con frutti di mare – rispose Angel, e Ray fece un cenno d’approvazione.

– Hai sentito come ha detto frutti di mare? Anche una cosa così insignificante sembra una poesia, pronunciata da quelle labbra.

Michelle finse di vomitare. – Dai, Romeo, che diavolo vuoi mangiare?

– Pollo in agrodolce. E un panino al vapore ripieno.

– E ravioli! – aggiunse Angel. Michelle digitò l’ordine.

– Arriverà tutto tra venti minuti – sospirò. – Io vado a stendermi, nel frattempo. Mi metterò i tappi, così eviterò di sentirvi ansimare. Fate piano, e aprite al fattorino quando arriva.

– Grazie, Michelle! – risposero loro, all’unisono, fiondandosi in camera di Angel.

 

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