Dodici La Serie – Episodio 3
9 gennaio 2021
Starbright Beach, Los Angeles, California
– Cosa hai messo?
– Abito champagne, spacco, e tacchi vertiginosi.
– Le Manolo?
– Ah-a – confermò Cece Jordan, al telefono con la sua amica Abby, mentre si guardava allo specchio per controllare il trucco.
– A che ora viene a prenderti?
– Sarà qui tra poco. Mi sento così strana, Abby!
– Gli dirai di sì?
Aveva cercato di calmare i battiti impazziti nel suo petto. – A te non ha detto niente, vero?
– Purtroppo no, però… dai, gli indizi sono chiarissimi. È la sera del suo trentesimo compleanno, giusto?
– Giusto – fece lei, dando volume ai suoi capelli con la mano libera.
– Andate a cena in un posto romantico, da soli, senza la sua famiglia… fai due più due.
– Potrebbe essere una semplice cena di compleanno.
– Cece, state insieme da quasi quattro anni. Stasera ti chiederà di sposarlo.
A quelle parole, il suo cuore sembrò saltare direttamente al centro della gola. Il telefono della sua camera squillò. – Abby, credo sia arrivato.
– In bocca al lupo, futura signora Baker.
Chiuse la conversazione e volò all’altro capo della stanza, alzando la cornetta che stava ancora trillando. – Sì?
– Signorina Jordan, la sua auto è qui.
– Grazie, scendo subito. – Controllò nuovamente allo specchio il suo riflesso. Incoraggiò sé stessa dall’altro lato del vetro, infilò mascherina e giubbotto, e si lasciò alle spalle la sua immagine, avviandosi all’ascensore. Uscì dal piano terra, ritrovandosi nella hall dell’albergo, il concierge la salutò cordialmente. – Buonasera, signorina Jordan. Il signor Baker l’aspetta in auto.
Mentre camminava verso l’uscita, incrociò sul tragitto una giovane donna dai capelli biondi che si avvicinava alla reception. S’identificò mostrando la sua carta d’identità. Sentì l’uomo risponderle che l’avrebbe fatta scortare subito nella sala bar privata. Forse anche per lei stava per iniziare una serata speciale. Sospirò, felice, e uscì fuori. L’aria era fredda e frizzante, si strinse di più nel giacchetto che aveva portato con sé. L’autista la salutò e aprì la portiera per lei.
Ci siamo, pensò, e s’infilò nell’enorme auto. L’abitacolo era spaziosissimo, c’era un secchiello di metallo con due bottiglie di champagne e il vetro nero che separava la parte posteriore della limousine da quella dedicata alla guida. Lui stava seduto sul lato opposto a quello da cui era entrata. Indossava una giacca scura, elegante, i jeans di Ralph Lauren che gli aveva regalato lei per Natale e una t-shirt bianca. Era scalzo. Non poté fare a meno di sorridere, era una cosa proprio da lui iniziare un appuntamento galante a piedi nudi. – Buon compleanno, Edge.
– Grazie, piccola.
Cece lo raggiunse, sfilandosi la mascherina e baciandolo sulle labbra. – Adesso sei ufficialmente un trentenne.
– A quanto pare sì, ti va di brindare alla mia maturità?
– Volentieri – rispose. Edge stappò una delle due bottiglie e riempì due bicchieri, passandone uno a lei. – Allora… alla tua maturità, e a questa serata.
Lui bevve tutto d’un fiato. – Credo proprio che me ne verserò dell’altro.
– Sei bello carico stasera.
– Sto cercando di scordarmi il fatto che ieri avevo ancora vent’anni ed ero un ragazzino, mentre oggi sono diventato un vecchio – sbuffò lui.
– Sai di essere scalzo, vero?
– Certo che lo so – fece lui, passando al secondo bicchiere. – Siamo su una limousine. Che senso ha essere un musicista famoso se non posso neppure togliermi le scarpe in auto!? Tu, piuttosto, perché le hai ancora ai piedi?
– Perché mi stanno divinamente, e perché dopo aver visto l’episodio di Sex&TheCity in cui rubano le Manolo Blahnik a Carrie ho sempre il terrore che mi capiti la stessa cosa.
– Ragionevole – disse, mettendosi a ridere; Cece gli diede un pizzicotto.
– Non prendermi in giro!
– Cielo, non potrei mai farlo! Per chi mi hai preso?
Sentì lo stomaco aggrovigliarsi. Contenere l’eccitazione si rivelò una missione piuttosto complessa. Arrivarono da Julia, il ristorante più esclusivo ed elegante della città, ed Edge si rimise le scarpe, che aveva abbandonato in un angolo dell’auto. Entrarono, e vennero accompagnati in una saletta privata, prendendo posto al loro tavolo. Poco dopo, iniziarono a mangiare.
– Non vedo l’ora di tornare a viaggiare.
Cece s’immobilizzò. Alzò lo sguardo. – D-davvero?
– Be’, sì. Ci stavo pensando proprio oggi pomeriggio. In fondo, non facciamo un viaggio fuori dal Paese da prima della pandemia – si prese una pausa, osservandola. Si era accorto che aveva smesso di mangiare. – Non ti piace l’aragosta?
– Eh? Oh! Certo che mi piace, è deliziosa! – Cece gli prese la mano. – Dove vorresti andare?
– E tu? – chiese lui, sorridendole.
– In Italia – rispose lei prontamente. Se stava tastando il terreno per organizzare un viaggio di nozze era intenzionata a dargli indizi definiti, desiderava una meta romantica.
– Ah. – Il sorriso di Edge si fece strano, ma restò sul suo viso, e lei lo associò al fatto che forse il momento della proposta si stava avvicinando. Quell’espressione sparì, e lui tornò a mangiare la sua tagliata di manzo, lasciando la mano della ragazza. – Sai, in Italia ho mangiato della carne ottima. In Umbria, l’ultima volta che ci sono stato.
– Umbria? – fece lei, incuriosita.
– Una regione del centro. Fanno anche dell’ottima cioccolata lì, e vino da capogiro.
– Conosci davvero bene l’Italia, tu – disse Cece, impressionata.
– Credo sia il mio Paese preferito – aggiunse Edge, versandosi del vino. – Ne vuoi?
– Sì, grazie – fece lei, alzando il calice. Voleva tenere aperto il discorso Italia, non avrebbe mollato. – Quando ci sei andato per la prima volta? È stato molto tempo fa?
– Nel 2016, l’anno in cui abbiamo fatto il primo tour in Europa – rispose lui, sbrigativo. Cece lo guardò per cercare di interpretare la strana espressione che aveva incurvato le sue labbra in quel sorriso così bizzarro. Forzato.
Edge bevve, e nell’attimo in cui chiuse gli occhi le immagini cominciarono a prendere corpo velocissime, irrefrenabili. Il primo tour in Europa. Marzo. Lei seduta nel backstage. Sei stato magnifico! È sempre così, quando ci sei tu a sentirmi. Grazie per essere venuta. Girovagare per la Città Eterna insieme a lei. Vicoli di Roma nei quali il sole non batte. Le strade di pietra sotto le scarpe. Un giorno di pioggia. La Fontana di Trevi. Lanciamo una moneta? Sarà come un ricordo che resterà per sempre in quell’acqua. Per sempre, eh? Sì. Per sempre. E non le aveva detto che niente sarebbe stato per sempre, a parte quella voglia che aveva di baciarla. Ma non parlò, lanciò quella dannata moneta. Questa settimana è trascorsa così in fretta! Hai ragione, il tempo è volato. Quando ci rivedremo? Non lo so, Edge. Il profumo della pasta fumante. Il freddo dei gelati contro i denti. Una libreria polverosa, scaffali stracolmi e l’aria che mancava. Quando ci rivedremo? Il suo profilo in controluce. Il Colosseo alle sue spalle. Il sorriso. L’aeroporto. Il vociare della gente. Fai buon viaggio, Edge. Avvisami quando arrivi a casa. Verrò da te quest’estate. Non hai impegni? No, ho del tempo libero. Potremmo girare l’Olanda in bici, sarebbe forte. Mi piacerebbe. Allora ciao, Yankee.
– Be’, allora ci toccherà andare in Umbria ad assaggiarne le specialità, no? – la voce di Cece interruppe quel ricordo che aveva acceso un dolore infernale nel suo petto. Edge annuì.
– Sì, magari tra qualche mese potremmo andarci sul serio, se le restrizioni lo consentiranno – aggiunse, la voce sottile.
– Sono davvero curiosa di vedere l’Italia! – esclamò lei, battendo le mani. La ragazza prese un respiro profondo. E cercò di incoraggiarlo a procedere. – Questo ristorante è bellissimo, grazie per avermici portata.
– Sono felice che ti piaccia.
Aveva vissuto la cena con una lieve ansia, aspettava che arrivasse quella fatidica domanda. Al momento del dessert, aveva mangiato la torta con attenzione, sperando quasi di beccare un anello tra i denti, ma non trovò niente. Lui andò a pagare, l’aiutò a indossare la giacca. Due ore dopo stavano uscendo dal ristorante, e le parole “Vuoi sposarmi?” non erano mai state pronunciate. Erano in auto già da dieci minuti, e lei non aveva aperto bocca. – Tutto okay?
– Oh, sì, certo – aveva risposto, cercando di mascherare la sua delusione con scarsi risultati.
– Sicura che vada tutto bene?
– Io… – abbassò lo sguardo, arrossendo. Ripensò alle parole di Abby. A quanto era sicura che quella sera sarebbe successo, e invece niente. Le tornò in mente quel suo sorriso strano, e l’ansia euforica che aveva provato aspettando che lui le proponesse di sposarlo si trasformò in una specie di angoscia.
– Cece, perché non mi dici cos’hai?
– Edge, tu pensi che noi avremo un futuro?
La guardò.
Cece era una bella ragazza. Ma Angel era più bella. Cece era alta, slanciata, aveva fatto la modella per un periodo, poi si era dedicata allo sport. Era molto più alta di Angel, lei era più minuta. I suoi gusti musicali erano impeccabili. Una volta, in auto, alla radio era passata Comfortably Numb e lei aveva detto che David Gilmour era il suo chitarrista preferito. Il migliore al mondo, e aveva ragione. Angel preferiva Jimmy Page. Sul serio, Yankee. Dovresti ascoltare dei veri chitarristi, prima o poi. Cece era perfetta. Ma non era Angel. – Perché me lo chiedi?
– Vedi… io sono così felice della nostra relazione – mormorò lei, prendendogli le mani. – Siamo riusciti a superare tanti brutti momenti e… adesso stiamo insieme da un po’…
Sì. Stavano insieme da quando Angel lo aveva allontanato.
– E pensavo che… stasera tu…
Cosa pensava? Non lo sapeva. La guardò per capire. Le sollevò il mento. Erano così belli gli occhi di Cece. Castani, con lunghissime ciglia scure. Però pensò agli occhi di Angel, erano verdi, più grandi. Le sue labbra erano più sottili, quelle di Angel un po’ più piene, ma forse più piccole.
– Edge… – sussurrò lei. – Pensavo che questa sera mi avresti chiesto di sposarti.
Lei aveva abbassato di nuovo lo sguardo. – So che non ne abbiamo mai discusso, è solo che credevo… Edge, tu mi ami?
– Cece, certo che ti amo.
Era vero, l’amava. Ma non come amava Angel.
– E credi che insieme avremo un futuro?
Avrebbe voluto dire che non lo sapeva, che si sentiva perso e senza una direzione e che con lei stava bene, stava bene sul serio, ma c’era un enorme e sospeso “ma” che non era mai sparito. – Credo di sì.
– E un giorno… vorresti sposarti?
– Può darsi. Non ci ho mai pensato. – Sì, invece, ci aveva pensato. È solo che non voleva sposare lei.
– Allora va bene, ora godiamoci la serata. È il tuo compleanno, non voglio rovinarlo. Sono stata una stupida, mi dispiace.
– Non sei stata stupida. Non preoccuparti.
Lei aveva annuito, e lo aveva baciato. E il suo bacio era tenero, appassionato. Era un bacio devoto. E lui si sentì veramente un verme quando di fronte a quella ragazza così perdutamente innamorata pensò ad altre labbra, e al desiderio che aveva di lei.
– Ti va di venire in albergo, con me? Siamo vicini…
Lui annuì. Salì in camera con Cece, e per tutto il tempo che passò a letto con lei pensò ad Angel come forse non aveva mai fatto prima, e quando la sua ragazza gli disse che era stata la sera più bella della sua vita la baciò perché non vedesse ancora la colpa dipingersi sul suo viso.
– Resti a dormire qui?
– Non posso, piccola. Domani mattina devo raggiungere i ragazzi in studio.
– D’accordo. – Cece lo guardò rivestirsi, stesa tra le lenzuola.
Prima di andarsene si chinò a baciarla.
– Edge, ti amo tanto.
– Ti amo anch’io.
Le sorrise, e uscì, infilandosi nell’ascensore. Le porte si aprirono al piano terra. Sentì della musica e chiacchiericcio dalla sala bar privata. Il concierge si accorse di lui e lo salutò. – Signor Baker! Che piacere vederla.
Gli fece un cenno, avvicinandosi al bancone. – Buonasera, Laurence. Sì, ho riaccompagnato Cece. Domani mattina potrebbe farle arrivare dei fiori insieme alla colazione in camera? So che è piuttosto tardi, ma…
– Sarà fatto, signore, nessun problema. Solito orario, vero?
– Otto e trenta. Domani sarò impegnato fino a sera, i fiori la renderanno felice.
– I fiori sono sempre un pensiero meraviglioso.
– Se dovesse aver bisogno dell’auto o di qualunque cosa, mi raccomando. Conto su di lei.
– La signorina Jordan è in ottime mani, signor Baker.
– Grazie mille. – Edge si voltò per andarsene, mentre le porte della sala privata si aprivano, e si trovò a fronteggiare un uomo con il viso seminascosto dalla mascherina.
– Ray, aspetta! – cinguettò una voce fin troppo familiare, e i suoi occhi si appoggiarono sulla donna bionda che aveva seguito l’uomo fuori dalla sala. Rideva, ma non appena lo vide, qualcosa nel suo sguardo cambiò e si pietrificò all’istante. – E-Edge…
– Evis, dammi un minuto – disse lui, la donna annuì e poi tornò nella saletta. Camminò fino a trovarsi a poca distanza da Edge. – Facciamo due passi, ti va?
Non riuscì a capire perché lo seguì. Si trovarono all’esterno dell’albergo, disse all’autista che sarebbe tornato di lì a poco, e continuò a camminare dietro all’altro fino a quando quello non si fermò davanti a una panchina. Sentiva il suono delle onde del mare alle loro spalle. La strada era deserta.
Ray tolse la mascherina, e si portò una sigaretta alle labbra, porgendogli il pacchetto. – Ne vuoi una?
– Sì, grazie – rispose, allungando la mano. – Hai ricominciato a fumare, quindi.
– Mi sono ripromesso di smettere entro quest’anno.
– Che abitudine di merda – disse Edge, aspirando una boccata. – Dovresti davvero smettere.
– Già, dovresti smettere anche tu – aggiunse l’altro, mentre gli indicava il posto accanto al suo. – Non vuoi sederti?
Lo affiancò. Guardavano entrambi di fronte a loro l’enorme facciata dell’albergo, che sembrava dormire. C’erano pochissime stanze con le luci accese. La limousine di Edge era l’unica auto parcheggiata davanti all’edificio. – Perché c’era Evis alla tua festa di compleanno?
– L’ha organizzata lei. Non credevo ti avrei trovato lì, non pensavo che fossi in città.
– Ho affittato una suite alla mia ragazza, per quando viene a trovarmi. – Mentre lo diceva, si rese conto di quanto suonava stupido, si grattò la testa, e parlò con una certa ansia. – Ha tutti i comfort, la trattano molto bene.
– Non ho detto nulla, non devi giustificarti con me.
– Ti sembra strano che non venga a stare da me, no?
– Certo che mi sembra strano, ma non credo mi riguardi.
– Lo sai, quando Thunder mi ha parlato della tua amicizia con Evis l’ho trovata una cosa veramente patetica. Non credevo riuscissi a essere così idiota.
– Non ti ho chiesto perché tu abbia sentito il bisogno di affittare una suite in un albergo alla tua ragazza, quando casa tua è a dieci minuti a piedi da qui – fece Ray, abbozzando un sorriso. – Quindi speravo non mi facessi domande neanche tu.
Nessuno dei due aggiunse altro, e rimasero in silenzio, a fumare. Quando la sigaretta di Ray fu consumata, lui si alzò in piedi e la spense, gettandola in un cestino. – Sono stato felice di rivederti, Edge.
– Non l’ho più sentita – disse, quando Ray gli diede le spalle. Il suo primo passo fermo a metà. – Ha chiuso tutti i contatti con me, perché voleva che fossi felice con Cece.
– Cece è la tua ragazza?
– Sì. Stasera pensava che le avrei proposto di sposarmi. Stiamo insieme da quasi quattro anni, eppure non mi era mai neppure saltato in mente.
– Sposarsi non è necessario. L’importante è che siate d’accordo sulla questione. – Edge non rispose. Ray sospirò, voltandosi con un sorriso triste. – Tu vorresti sposarti?
– Non lo so. – Si scambiarono uno sguardo carico di tutte le cose che a parole non avrebbero potuto esprimere allo stesso modo.
– Capisco.
– Ray, perché Evis?
– Mi è stata vicino – rispose lui, alzando le spalle. – Si è rivelata una buona amica.
– Ma scommetto che non le basta essere solo tua amica, no?
– Be’, a me basta. – Ray tornò a dargli le spalle. – Edge… se vuoi davvero essere felice, devi lasciarla andare.
– Non ci riesco – ammise lui, sconfitto. – Io amo Cece, è solo che…
– …che non è lei. – aggiunse l’altro, grattandosi la testa. – Ma non ha senso tenere la tua ragazza a distanza per questo motivo, non credi?
– No, hai ragione – disse Edge, alzandosi dalla panchina.
– Edge, nessuno più di me riesce a capire, però… cerca di non ferire altre persone. C’è stata già fin troppa sofferenza. – Ray si avviò. – Vieni, torniamo all’albergo.
Lo seguì come era successo prima. I suoi occhi erano spenti, il suo tono stanco. Thunder gli aveva raccontato della sua rinuncia alle relazioni, non usciva con una ragazza da quasi due anni. Aveva scelto di restare completamente da solo, sentimentalmente parlando. Forse perché lui era più forte. Non era riuscito a sopportare di vederla nel volto di un’altra donna, sentire il suo corpo mentre ne abbracciava un altro. Era stato sempre più in gamba di lui. Era sempre stato migliore.
– Hey…
Ray si voltò a guardarlo per l’ultima volta, prima di rientrare nell’albergo. Edge si era fermato nei pressi della limousine.
– Buon compleanno.
– Be’, tecnicamente non è più il nostro compleanno, ma accetterò lo stesso i tuoi auguri. E spero tu vorrai accettare i miei. Ciao, Edge. – Con un ultimo sorriso, sparì dietro la porta automatica. Lo seguì con lo sguardo fino a quando non riuscì più a vederlo.
Dodici: La Serie è una serie spin-off legata al romanzo Dodici Giorni.
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