Dodici La Serie – Episodio 10
10 agosto 2019,
Starbright Beach, Los Angeles, California
Sollevò per l’ultima volta il manubrio con il braccio destro. Prese fiato, e si passò una mano sulla fronte per scacciarne il sudore. Gli altoparlanti continuavano a ripetere da ore un’unica playlist in cui si alternavano, tra le altre tracce, Eye Of The Tiger dei Survivor e Numb/Encore dei Linkin Park e Jay Z, in un ciclo continuo che giunto alla quarta volta gli era diventato insopportabile.
Evitò di incrociare lo sguardo della donna sull’ellisse a pochi passi da lui. Si era accorto delle sue occhiate furtive, ma decise che le avrebbe ignorate. Mise a posto il peso, e poi si avviò al tappeto, saltandoci sopra. Impostò la pendenza e la velocità. Si trovò a correre, senza neppure rifletterci su. Il display segnava già cinque minuti quando si accorse che era in movimento. Allenarsi era diventata un’attività automatica. Cervello spento. Inspirò. Espirò. Aumentò la velocità. Aria dentro. Aria fuori.
– Hey, Johnson, stai cercando di battere qualche record? – La donna dell’ellisse si chiamava Amber, avevano scambiato poche chiacchiere tra una serie di flessioni e l’altra, negli ultimi tempi. Si era avvicinata al tapis roulant, appoggiandosi al bracciolo del macchinario. Lui correva così forte che non riuscì a rispondere, si limitò a sorriderle. Lei arrossì, abbassando lo sguardo. – Ehm… senti, dopo vorrei parlarti di una cosa.
Annuì per indicare che andava bene.
– D’accordo, allora a più tardi.
La donna se ne andò, lasciandolo alla sua corsa. Mezz’ora più tardi era sfinito. Si gettò sulle spalle l’asciugamano e andò a farsi una doccia. Quando uscì fuori, la trovò seduta su una panchina, aspettava che uscisse. Non appena lo vide, si alzò e lo raggiunse, sulle spalle il borsone da ginnastica.
– Ciao, Amber. Cosa volevi dirmi? – chiese lui, cordiale. Lei arrossì, come prima nella sala attrezzi, evitando di guardarlo negli occhi.
– Ecco… be’, volevo chiederti se ti andava di uscire con me, una di queste sere.
Aveva immaginato si trattasse di qualcosa del genere. Ormai aveva imparato a riconoscere quello sguardo. E proprio perché lo conosceva, provava sempre a evitarlo. Scosse la testa. – Mi dispiace, non credo sia possibile.
– Oh… – fece lei, sorpresa. – Sei impegnato, forse?
– Intendi se sono single? – scosse la testa. – In quel caso, sì. Ma la verità è che in questo periodo preferisco restare da solo. Non sono molto interessato alle relazioni.
– Capisco.
– Ti ringrazio davvero per la proposta. – La salutò e si avviò alla sua auto. Amber era molto graziosa, e forse, se gliel’avesse chiesto solo qualche settimana prima, la sua risposta sarebbe stata diversa. Lanciò il suo zaino con gli abiti usati sul sedile posteriore, mise in moto e si avviò a casa.
Quella di passare le ultime ore del giorno davanti al pc era diventata un’abitudine fissa. Riguardava sempre gli stessi video e le stesse fotografie finché gli occhi non diventavano troppo stanchi, ed era praticamente costretto ad andare a dormire.
– Ray, inquadra questi… ho fatto i biscotti!
– Sai che sono bruciati, vero?
– Shh! Non dirlo davanti alla telecamera. Pensi che la glassa colorata possa nascondere i bordi anneriti?
– Possiamo provarci, se ti piace il carbone zuccherato.
– Non manderai questo video a mia madre e Chris, vero?
– Oh, invece è proprio quello che farò. Vuoi dire qualcosa ai tuoi genitori, che ti hanno appena visto brutalizzare dell’ottimo impasto alla vaniglia?
– Okay. Ehm… i biscotti non sono il mio forte, come potete vedere. La prossima volta vi mostrerò dei pancake, quelli li faccio davvero molto bene. Mi mancate tanto, e non vedo l’ora di riabbracciarvi! Buon Natale! Adesso spegni quella cosa, e aiutami a pulire questo macello.
Lo infastidì sentir ridere la versione passata di sé, e ancora di più il ricordo del fumo acre, della carta da forno incenerita che si sbriciolava tra le mani, poteva quasi sentire quei pezzetti scricchiolare sotto le sue dita. Avevano aperto le finestre dell’appartamento per arieggiare, e un freddo pungente aveva invaso la cucina. Lei era scappata a prendere una coperta e ci si era avvolta dentro. Spuntava fuori solo il suo viso.
Si versò un bicchiere di scotch, poi scorse i file nella cartella e selezionò il video successivo, mentre sorseggiava il liquido ambrato.
Nell’anteprima, c’era lei, contro la parete di casa di Michelle. Cliccò la freccetta play e partì un suono distorto di musica fortissima. Lei stringeva gli occhi. Gli fece cenno di seguirla, e la scena si spostò nel bagno. Il rumore si attenuò parecchio, una volta chiusa la porta, e sospirò. – Ray, stai davvero facendo un video? Vuoi davvero avere un ricordo eterno di questa serata?
– È la notte di Capodanno, amore – rispose la sua voce fuori campo.
– Non conosco quasi nessuno, perché siamo qui?
– Perché Michelle è nostra amica. E aveva detto che avrebbe trascorso la notte da sola.
– Già, ma come vedi era soltanto una scusa per costringerci a venire. Questa festa è orrenda, sono tutti ubriachi, e io mi annoio a morte.
– Be’, tra un po’ mi ubriacherò anch’io, per te va bene?
– Oh, Ray… volevamo restare a casa a mangiare schifezze e guardare Star Wars per tutta la notte… perché cavolo ci siamo lasciati convincere?
– Facciamo così, l’anno prossimo, cascasse il mondo, rimarremo da soli e realizzeremo il nostro Capodanno ideale.
– Lo prometti?
Spense il computer prima di vederla allungare una mano verso l’obiettivo e inquadrare lui, per poi riprendere entrambi, mentre gli baciava una guancia e continuava a scherzare.
Il caldo asfissiante di agosto e l’alcol bevuto poco prima lo fecero sentire intorpidito. Andò in camera da letto, e si gettò sul materasso, ancora vestito. Appoggiò la testa al cuscino, chiuse gli occhi, e all’improvviso sentì le fusa di Hermione vicino all’orecchio. – La tua ciotola è già piena.
La gatta miagolò con forza e lui aprì gli occhi, ritrovandosi di fronte il musetto dai lunghi baffi e due grandi occhi arancioni che lo scrutavano. – Che cosa c’è?
Si acciambellò sul suo petto, la lunga coda gonfia e rossa gli finì sul viso, sputò qualche pelo, scostandola con la mano. – Di’ un po’, hai intenzione di soffocarmi?
Sedette a mezzo busto, e lei lo fronteggiò, con cipiglio severo.
– Non essere preoccupata per me, sono solo triste. – Le accarezzò la testolina soffice, e lei ricominciò a fare le fusa. Il suo cellulare sul comodino squillò. Lo afferrò e rispose, grattando dietro l’orecchio di Hermione.
– Pronto?
– Che fai?
– Ciao, Sean – disse lui, mentre la gatta iniziava a rotolare accanto a lui per giocare.
– A quale attività completamente sana ti stai dedicando, stasera? Riguardare fino alla nausea i video di Angel o parlare col gatto?
– Hermione è una gatta – corresse. – E noi non ci limitiamo a chiacchiere convenzionali, discutiamo di complessi argomenti filosofici.
– Prima o poi distruggerò la memoria del tuo pc e rapirò Hermione.
– Volevi dirmi qualcosa? – chiese, distrattamente, mentre evitava che le zampe della gatta lo afferrassero.
– In realtà volevo presentarti qualcuno. Si chiama Kimberly, ha ventinove anni, è molto carina, e lavora con Wayne. Considerati invitato a cena, domani sera. Così la conoscerai.
– Sean, pensavo di essere stato chiaro – disse lui, sospirando.
– Sì, sei stato chiaro, ma io mi rifiuto di assecondare questa scemenza.
– Non è una scemenza. È davvero quello che voglio.
– Quindi, praticamente, diventerai un monaco, giusto?
– No, non diventerò un monaco. Ma non voglio avere contatti con il genere femminile, ho chiuso con le donne.
– Senti, se fossi asessuale, non mi darei tanta pena. Ma tu stai stravolgendo la tua identità, i tuoi bisogni, e per quale motivo?
– Te l’ho già spiegato.
– E immagino sia stato terribile, però può succedere di pensare ad altro in quei momenti, a volte anche a me scappa l’occhio sulla tv.
– Sean, io non ho pensato ad altro, ho immaginato di stare con Angel mentre ero con un’altra. È stato agghiacciante, e non voglio provare mai più quella sensazione. Basta col sesso occasionale, non fa per me.
– E allora trovati una ragazza stabile.
– Non se ne parla.
– Ma perché sei così ostinato?
Hermione saltò giù dal letto, e sparì dietro un angolo, dopo un attimo la sentì masticare rumorosamente i suoi croccantini.
– Insomma, lei se n’è andata da anni, tu non l’hai più vista, né sentita. Perché ti rifiuti di ricominciare? Trova un’altra, innamorati daccapo, datti un’altra possibilità per essere felice.
– Non voglio guardare in faccia una ragazza e pensare che non le somigli abbastanza. O che le somigli troppo. Non voglio usare le persone, e non voglio paragonare tutte a lei.
– Infatti, non sto dicendo che devi paragonare tutte a lei, sto dicendo che devi dimenticartela.
Ray sorrise, amaramente. – Dimenticarmi dell’amore della mia vita, eh? Una missione semplice.
– E allora vuoi continuare a vivere in questo lutto per sempre?
– Non per sempre, ma fino a quando sarà necessario – rispose lui, con semplicità. – Sean, sai meglio di me quanto ci abbia provato. Non è servito a niente. Sono quattro anni che Angel se n’è andata, e io non ho mai smesso di pensare a lei. Neppure per un secondo.
– Ti ha lasciato senza dirti una parola, e se n’è andata dall’altra parte del mondo. – Il tono di Sean divenne duro. – Non oso immaginare cosa avesse nella testa quando ha scelto di partire, ma resta il fatto che andarsene è stata una sua decisione.
– Non parlare di lei come se fosse un mostro – soffiò Ray, accigliato. Dall’altro capo del telefono sentì Sean sospirare.
– Non è quello che sto facendo. Io vorrò sempre bene ad Angel, ma tu sei il mio migliore amico. E sono quattro anni che sei fedele a un fantasma.
Ray non rispose.
– Hai attraversato tutte le fasi da manuale. Ti ricordi com’eri all’inizio? Arrabbiato, furioso. Adesso è passato un bel po’, dovresti essere passato all’accettazione.
– Fidati, l’ho accettato. – Si alzò dal letto, avviandosi alla porta finestra della sua camera. L’aprì e uscì fuori, camminando verso il tavolino sul suo terrazzo.
– Ma sei ancora innamorato di lei.
– Sarò sempre innamorato di lei. – Si mise a sedere. Da lì poteva vedere tutta Starbright Beach, immersa nella notte. La luna si rifletteva sull’oceano. – Sai qual è la cosa buffa, Sean? Angel mi ha amato per anni, prima che io me ne accorgessi.
– Non capisco perché dovrebbe essere buffo.
– Pensaci un secondo. Verrebbe naturale a chiunque pensare che dopo tanto tempo a corrermi dietro, senza essere corrisposta, fosse stata lei quella che amava di più, no?
– Ray… – mormorò l’amico, ma non aggiunse altro.
– Adesso sono qui da solo, vivo al limitare della città. Esco solo per andare in palestra e fare la spesa, vedere te e i ragazzi, o i miei genitori. Passo molto tempo a casa. Potrei mangiare a letto, ma non lo faccio mai. E sai perché? Perché lei odiava che mangiassi a letto. – Rise, passandosi una mano tra i capelli. – Credi che non sappia che è da malati? Lo so benissimo. Perciò, come ti dicevo, è buffo… – Si prese una breve pausa. – Lei è stata innamorata di me per quasi tre anni, prima che anch’io finalmente aprissi gli occhi. Poi ho aperto gli occhi. E adesso passerò la vita ad amarla, e correrle dietro, e quella a non saperlo, stavolta, sarà lei.
Entrambi rimasero in silenzio. Un alito di brezza soffiò su di lui. Hermione saltò sul tavolino.
– Non sono mai andato da lei. Alla fine, non sono mai riuscito a farlo. Perché lei non mi voleva, e l’idea che lei non mi volesse mi ha paralizzato. Se mi avesse guardato in faccia, dicendomi che non voleva più stare con me… forse sarebbe stato tutto più facile.
– Sarebbe di certo stato più facile, ma è così che stanno comunque le cose. Vi siete lasciati. È finita.
Si rilassò sulla sedia, la gatta gli saltò in braccio. Accarezzò il suo dorso soffice, sorridendo.
– … non puoi semplicemente rinchiuderti nei ricordi.
– Chi dice che non posso? – La sua domanda non fu aggressiva, sembrava più che altro dettata da naturale curiosità.
– I-io… oh, andiamo, Ray! – balbettò l’altro, in difficoltà.
– Sono serio. Non mi sembra di fare del male a nessuno. Perché non posso?
– Fai del male a te stesso. – ribatté Sean.
– Starei male comunque.
Si sentiva ancora frastornato per quell’ultima, tragica volta. Quando si era trovato a letto con quella ragazza, Harper. Avevano passato una serata piacevole, cena, film, fiumi di vino, poi erano finiti a casa sua. Lei aveva spento la luce, si erano spogliati e messi a letto. E all’improvviso i lunghi capelli scuri sul cuscino erano diventati i suoi. Per un attimo era stato come stringerla di nuovo a sé. E la sua immagine era così vivida, concreta. Abbracciò Angel, ma i suoi movimenti lo stranirono. Si chiese perché Angel si muovesse in quel modo. Non era da lei. Si era sentito a disagio. E poi Harper aveva parlato, e quella dimensione quasi onirica si era frantumata.
Quella voce non era la sua.
E lei non era Angel.
Si era alzato dal letto all’improvviso, in preda al terrore, si era rivestito in fretta e furia ed era scappato fuori, balbettando scuse confuse a quella poverina che di certo lo aveva preso per un pazzo. Aveva corso fino all’auto, messo in moto ed era partito, ma non sapeva nemmeno lui dove stesse andando. Si era fermato di fronte casa di Angel. La villa abbandonata era scura, le finestre abbassate. Era uscito dall’auto, si era accasciato sul prato, ed era scoppiato a piangere. Avrebbe voluto strappare l’erba, dare fuoco a quella facciata, all’intera città. Tornato a casa, era crollato accanto al gabinetto e aveva vomitato sotto lo sguardo confuso di Hermione.
Il solo pensiero di quella notte lo fece rabbrividire.
Non sarebbe più accaduto.
– Sto bene da solo, Sean. Te lo giuro – rassicurò lui, ancora al telefono.
– Allora, per domani sera… lasciamo perdere?
– Sì, per favore.
– Quando ti sentirai di nuovo pronto, dimmelo. Ti troverò la ragazza perfetta.
Lui l’aveva già trovata da solo la ragazza perfetta, e l’aveva persa. Ma era stanco di ripeterlo, e a dirla tutta, non vedeva l’ora di troncare quella conversazione. Lo salutò, notò un messaggio di Evis.
Tutto okay?
Spense il telefono, le avrebbe risposto il giorno dopo. Rimase lì fuori, con Hermione addormentata in grembo.
– Lo sai che tu le saresti piaciuta un sacco? Volevamo prenderlo, un gatto. Tra le altre cose che poi non abbiamo più fatto – mormorò, con un mezzo sorriso. – Hai sentito questi discorsi milioni di volte, ma so che non mi manderai mai al diavolo. Dopotutto, io ti do da mangiare e pulisco la tua lettiera, che per inciso puzza terribilmente.
La gatta si accoccolò di più.
– Certe volte penso che non mi amasse abbastanza. Altre, che mi amasse troppo. In ogni caso, il suo era un quantitativo sbilanciato, e per questo se n’è andata. Ho cercato di capire perché l’ha fatto, ma tutto quello che so, alla fine, è che mi ha lasciato una voragine in mezzo al petto. E ogni momento che ho passato lontano da lei non ha fatto che ampliarla, tanto che adesso credo di essere diventato io stesso una voragine. Perché mi ha fatto questo, secondo te, se mi amava, Hermione?
La gatta alzò la testa. La prese tra le braccia e ritornò dentro, appoggiandola sul letto. Chiuse la finestra, andò a lavarsi i denti e il viso. S’infilò il pigiama e si mise a letto. Sentiva il ronfare tranquillo di Hermione, già assopita. Portò un braccio dietro la testa, e guardò il soffitto. Poi chiuse gli occhi, sperando di sognarla, e anche lui si addormentò.
Episodio Dieci
Editing: Gloria Macaluso
“Dodici” è la serie spin-off legata al romanzo Dodici Giorni.
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