Chi sono?

Mi chiamo Amalia, classe ’91. Sono cresciuta tra Caserta e Napoli, in Campania, e oggi vivo tra campagne e foreste in una bella cittadina dal nome impronunciabile nel Sud della Germania, insieme a mio marito e a un numero indefinibile di libri, fumetti e action figures.

All’università, e privatamente, ho studiato musica, lingue straniere e letteratura. Infatti, scherzando, dico sempre che mi sono laureata in cose bellissime “però non”. Con “però non” intendo che, quando ne parlo con la gente che di solito mi chiede che cosa ho studiato, devo (quasi) sempre rispondere accompagnando il tutto con un: “però non sto pensando di fare concorsi pubblici”, o anche il gettonatissimo: “però non voglio insegnare”, con l’aggiunta di un’aria un po’ rassegnata (sia mia che dell’interlocutorə del momento).

E allora con la mia laurea che ci faccio?

Scrivo e studio, leggo bene e analizzo un sacco di libri.

Partiamo dal primo punto: Scrivo.

Ma scrivo forte, eh. Nel senso che scrivo tantissime cose. Tra queste, poche, anzi pochissime, superano la mia soglia di accettabilità, e dopo attenti lavori di revisione, vengono poi presentate al mondo esterno. Qui lo dico: io sono implacabile nei miei confronti *inserire meme della tizia che mette la mano alla gola della sua stessa ombra*. Il fatto è che ho un senso molto, molto alto di autocritica, che da un lato mi permette di tirare fuori solo cose che reputo veramente belle, ma alla fin fine, ammetto che non sempre è una bella cosa. Perché gli esseri umani di natura sono fallibili, e vivere costantemente alla ricerca della perfezione vuol dire partire sconfitti in partenza – e procrastinare un sacco. Quindi che fare qualche errore non è una colpa marchiata a fuoco, c’ho messo un po’ per iniziare a capirlo, ma ormai me lo sono messo in testa. Anche se devo lavorarci ancora su.

Quando ero piccola, inventavo delle storie. Me l’hanno raccontato, io non me lo ricordo. A quanto pare, poi, chiedevo a mia zia di scriverle al posto mio, perché, banalmente, tra i 2 e i 5 anni, non sapevo scrivere. Poi ho preso a compitare le lettere da sola. A quel punto, una maledizione si è abbattuta sulla mia mucca (cit.): non ho vissuto neanche un secondo della mia vita, da che ricordi, senza la testa affollata dalle vicende dei personaggi che venivano a crearsi nella mia immaginazione, e quando vocali e consonanti maiuscole e minuscole hanno iniziato a significare qualcosa, le ho usate come gli strumenti più belli che avessi mai avuto a disposizione per parlare di loro.

Quando avevo 15 anni, ho terminato la mia prima storia. Aveva un titolo in inglese e un sacco di canzoni all’interno che oggi farebbero da buona vibe a tutti i millennials nati negli anni ’90. Era scritta a matita, su due quaderni della Phard (sì, raga, sono vecchia, c’era ancora la Phard quando andavo al liceo io). Le mie compagne di classe se li passavano tra loro, leggevano avidamente e piangendo, dicevano che quella era la mia strada. Cioè, che scrivere era la mia strada. E purtroppo era vero. Dico “purtroppo” perché anche se potermici dedicare è un privilegio, di cui sono pienamente consapevole, “purtroppo” ha dei lati pesanti e negativi che non vanno nascosti (odio i racconti romanticizzati sulla vita da scrittrice, è un macello, la vita da scrittrice). E ho provato a combatterla questa cosa (l’ho fatto davvero, credetemi), ho provato a smettere di scrivere in tutti i modi, ho dato pure lezioni di solfeggio e fatto la contabilità in un patronato italiano all’estero, pur di uscirne. Ma alla fine non ce l’ho fatta: quando la maledizione si abbatte sulla tua mucca, c’è poco da combattere. La strada ti sceglie. Non posso fare a meno di scrivere. E quindi oggi, come chissà quante altre persone nel mondo, sogno di diventare una scrittrice affermata. Non so se ci riuscirò, però intanto ci provo. Non posso fare altrimenti.

Ora veniamo al secondo punto: studio, leggo bene e analizzo un sacco di libri.

Riassumo un po’ la mia formazione per capirci meglio qualcosa: dopo una bella triennale in Musica Jazz, ho studiato olandese (tra noi nerd della lingua però lo chiamiamo nederlandese), inglese e un po’ di tedesco all’università. Le lingue che ho studiato, naturalmente, provengono ognuna da diversi contesti socio-culturali. Quindi, per essere leggermente più specifici: ho studiato lingue, letterature e culture delle aree nederlandesi e anglo-americane, con un po’ di tedesco come corso extra. Durante la magistrale, che ho concluso nel 2023 con una tesi su Auto-fiction e trauma generazionale nel Graphic Novel di area nordamericana (molto allegro, sì, lo so), ho imparato cosa voglia dire fare critica letteraria, comparare dei testi tra loro, trovare i punti in comune, entrarci a fondo, studiarne l’impatto che possono avere sulla società. Studiare queste cose mi piace da morire, e dopo la laurea ho continuato a farlo. Sì, anche senza voti, e senza approvazione accademica, c’è vita dopo l’università, ve lo giuro. Le cose per passione si possono fare lo stesso. E sfrutto questo studio a modo mio.
Ultimamente, mi fa un po’ paura la carenza di empatia che vedo in giro, e temo che lo scarso amore che la scuola italiana (e non solo) ha riservato ai libri, purtroppo c’entri qualcosa, quindi nel mio piccolo, cerco di avvicinare la gente alla letteratura con un podcast gratuito che si chiama LeggiAma, in cui parlo di libri divertendomi e senza prendermi troppo sul serio. Ogni tanto lo faccio in dialetto, perché sono molto orgogliosa delle mie origini.

Direi che ho detto tutto, spero di aver risposto alla domanda “Chi sono?” in maniera esaustiva. Ma se vi interessa conoscermi meglio, potete seguirmi sui social che lascio qui sul sito. Non sono influencer e non provo a vendervi nulla. Certo, se Estathé o Dr. Pepper volessero regalarmi qualcosa, prima o poi, non direi di no. Mi piacciono i gusti limone per il primo e per il secondo, cherry-coconut. O anche qualunque gusto, la Dr. Pepper è pazzesca.